L'Anpi Bisceglie ha presentato il volume "Novecentocinquantasei - il diario della resistenza di un soldato"
Una retrospettiva sugli internati militari italiani e la resistenza al sud, temi poco conosciuti della seconda guerra mondiale
martedì 11 giugno 2019
8.13
Si è tenuta venerdì 7 giugno, a Palazzo Tupputi, la presentazione del volume "Novecinquesei - il diario della resistenza di un soldato", storia del colonnello Francesco Grasso curata dal nipote Roberto Tarantino.
Antonello Rustico, presidente della sezione di Bisceglie dell'associazione nazionale partigiani d'Italia ha aperto l'evento, moderato dal professor Franco Papagni e dalla ricercatrice della Fondazione Gramsci Antonella Fiorio.
Nel corso della serata, dagli interventi dei relatori, i presenti hanno potuto "ripassare" le informazioni storiche riguardanti gli eventi accaduti dopo l'8 settembre del 1943, ma soprattutto conoscere sia avvenimenti di Resistenza al sud contro i tedeschi - e in particolare a Barletta, dove il colonnello Grasso prestava servizio - che soprattutto la sorte dei 650mila internati militari italiani rinchiusi nei lager nazisti, oltre 190 dei quali biscegliesi. Questi due aspetti, Resistenza al sud e internati militari italiani sono poco citati nei libri di storia e solo da qualche decennio è iniziato uno studio più approfondito.
Ma chi sono gli internati militari italiani? La dottoressa Florio ne ha tracciato la storia. Sono internati militari, non prigionieri di guerra.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre l'esercito italiano fu lasciato senza ordini, soprattutto per quanto riguardava l'atteggiamento da tenere verso l'ex alleato tedesco, per questo si dissolse.
Gli 810mila militari italiani catturati dai tedeschi sui vari fronti di guerra furono considerati disertori oppure franchi tiratori e quindi giustiziabili se resistenti (in molti casi gli ufficiali furono trucidati, come a Cefalonia). Classificati prima come prigionieri di guerra, fino al 20 settembre 1943, furono poi considerati internati militari (Imi), con decisione unilaterale accettata passivamente dalla Repubblica sociale italiana che li considerò propri militari in attesa di impiego. Hitler non li riconobbe come prigionieri di guerra (Kgf) e, per poterli "schiavizzare" senza controlli, li classificò "internati militari", categoria ignorata dalla Convezione di Ginevra sui prigionieri del 1929.
Degli 810mila militari italiani catturati, 94mila optarono subito per la Rsi o le Ss italiane, 43mila lo fecero durante l'internamento nei lager, ma oltre 600mila, nonostante le sofferenze e il trattamento disumano subito nei lager, rimasero fedeli al giuramento alla Patria, scegliendo di resistere e dicendo "no" alla Rsi.
Nel 1955 Raffaele Cadorna scriveva di loro: «Fu una resistenza attiva, nonostante la loro condizione passiva di prigionieri, perché non fu un abbandonarsi indolente alla fatalità di un destino irrimediabilmente segnato, ma una volontaria decisione che richiese una vigilanza fattiva e una consapevole fermezza d'animo…».
Il colonnello Grasso fu tra questi. Nel diario sono raccontate le sofferenze, la fame ed il freddo patito in oltre 20 mesi di permanenza nel campo di Tschenstochau (Czestchova), ma anche la fermezza d'animo e i saldi valori che gli hanno permesso di sopportare la scarsa alimentazione ed assistenza, la mancanza di controlli igienici e sanitari, la privazione di tutele internazionali, e l' obbligo ai lavori forzati.
E, al ritorno a casa, fu processato con l'ignobile accusa di essersi arreso, come comandante del Presidio di Barletta, al tedesco invasore senza aver esaurito i pochi mezzi di resistenza e di difesa… ma da Bari non gli erano stati inviati gli aiuti richiesti.
La scelta di Roberto Tarantino di raccogliere e pubblicare il diario del nonno e di raccontare l'ostinazione e la tenacia con cui i suoi genitori si sono adoperati per far conoscere le stragi, la violenza contro i civili, la forza delle donne in quei giorni, tra il 12 ed il 24 settembre del 1943, a Barletta è stata sollecitata dalla consapevolezza che "noi siamo gli ultimi testimoni di questa storia e che, dopo di noi, i giovani, forse, non avranno la volontà e la consapevolezza di poter continuare la ricerca". Il libro si rivolge proprio ai ragazzi, col suo stile pacato ma fortemente suscitatore di emozioni, poiché, come ha concluso il professor Papagni, il diario sollecita molti spunti di riflessione sulla storia di ieri e su quella di oggi.
Antonello Rustico, presidente della sezione di Bisceglie dell'associazione nazionale partigiani d'Italia ha aperto l'evento, moderato dal professor Franco Papagni e dalla ricercatrice della Fondazione Gramsci Antonella Fiorio.
Nel corso della serata, dagli interventi dei relatori, i presenti hanno potuto "ripassare" le informazioni storiche riguardanti gli eventi accaduti dopo l'8 settembre del 1943, ma soprattutto conoscere sia avvenimenti di Resistenza al sud contro i tedeschi - e in particolare a Barletta, dove il colonnello Grasso prestava servizio - che soprattutto la sorte dei 650mila internati militari italiani rinchiusi nei lager nazisti, oltre 190 dei quali biscegliesi. Questi due aspetti, Resistenza al sud e internati militari italiani sono poco citati nei libri di storia e solo da qualche decennio è iniziato uno studio più approfondito.
Ma chi sono gli internati militari italiani? La dottoressa Florio ne ha tracciato la storia. Sono internati militari, non prigionieri di guerra.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre l'esercito italiano fu lasciato senza ordini, soprattutto per quanto riguardava l'atteggiamento da tenere verso l'ex alleato tedesco, per questo si dissolse.
Gli 810mila militari italiani catturati dai tedeschi sui vari fronti di guerra furono considerati disertori oppure franchi tiratori e quindi giustiziabili se resistenti (in molti casi gli ufficiali furono trucidati, come a Cefalonia). Classificati prima come prigionieri di guerra, fino al 20 settembre 1943, furono poi considerati internati militari (Imi), con decisione unilaterale accettata passivamente dalla Repubblica sociale italiana che li considerò propri militari in attesa di impiego. Hitler non li riconobbe come prigionieri di guerra (Kgf) e, per poterli "schiavizzare" senza controlli, li classificò "internati militari", categoria ignorata dalla Convezione di Ginevra sui prigionieri del 1929.
Degli 810mila militari italiani catturati, 94mila optarono subito per la Rsi o le Ss italiane, 43mila lo fecero durante l'internamento nei lager, ma oltre 600mila, nonostante le sofferenze e il trattamento disumano subito nei lager, rimasero fedeli al giuramento alla Patria, scegliendo di resistere e dicendo "no" alla Rsi.
Nel 1955 Raffaele Cadorna scriveva di loro: «Fu una resistenza attiva, nonostante la loro condizione passiva di prigionieri, perché non fu un abbandonarsi indolente alla fatalità di un destino irrimediabilmente segnato, ma una volontaria decisione che richiese una vigilanza fattiva e una consapevole fermezza d'animo…».
Il colonnello Grasso fu tra questi. Nel diario sono raccontate le sofferenze, la fame ed il freddo patito in oltre 20 mesi di permanenza nel campo di Tschenstochau (Czestchova), ma anche la fermezza d'animo e i saldi valori che gli hanno permesso di sopportare la scarsa alimentazione ed assistenza, la mancanza di controlli igienici e sanitari, la privazione di tutele internazionali, e l' obbligo ai lavori forzati.
E, al ritorno a casa, fu processato con l'ignobile accusa di essersi arreso, come comandante del Presidio di Barletta, al tedesco invasore senza aver esaurito i pochi mezzi di resistenza e di difesa… ma da Bari non gli erano stati inviati gli aiuti richiesti.
La scelta di Roberto Tarantino di raccogliere e pubblicare il diario del nonno e di raccontare l'ostinazione e la tenacia con cui i suoi genitori si sono adoperati per far conoscere le stragi, la violenza contro i civili, la forza delle donne in quei giorni, tra il 12 ed il 24 settembre del 1943, a Barletta è stata sollecitata dalla consapevolezza che "noi siamo gli ultimi testimoni di questa storia e che, dopo di noi, i giovani, forse, non avranno la volontà e la consapevolezza di poter continuare la ricerca". Il libro si rivolge proprio ai ragazzi, col suo stile pacato ma fortemente suscitatore di emozioni, poiché, come ha concluso il professor Papagni, il diario sollecita molti spunti di riflessione sulla storia di ieri e su quella di oggi.