Capitolo trentatreesimo

La mia domenica si scioglie come un gelato non consumato.
Mi prende spesso il sentimento di perdita ed è allora che devo aggrapparmi a un ricordo, a un progetto, a qualcosa che possa sostenermi e spingermi a continuare.
Al rancore:
Piazza Tricolore, Corso XXII Marzo, Corso Monforte, Via Calvi, Piazza San Babila: questi nomi sgomitano nella mia testa, a chi deve farmi più male.
Città Studi… lei non sarà mai un medico; si ritiri dagli studi! E lungo il corridoio una vertigine mi strizza il cervello.
Mi appoggio al muro e, barcollando, raggiungo l'uscita dell'Istituto.
Quando una mano pietosa mi accarezza i capelli e una voce mi sussurra:
«Lino… Lino… non ti abbattere. Lino, sii forte!»
È la voce di mia madre.
Molto spesso ho provato a chiedere una mano d'aiuto a una persona fisica, non dico che non sia stata una decisione corretta; il fatto è che, alla fine dell'incontro, mi sono ritrovato come prima, con gli stessi pensieri paranoici, i dubbi, le speranze spente, i desideri traditi.
Mi illuminano spesso espressioni: sto passando da te… ti sei dileguato… non venire più…
Sono flash che fanno una luce intensa e brevissima: subito dopo torna il buio, il mio buio senza spazio.
«E allora Satir… a che punto sei?»
«Parcheggio la macchina.»
Bene.
Il Commissario è tornato a casa e così gli Ispettori: ci siamo dati appuntamento alle 6 del lunedì per la partenza verso l'aeroporto.
«Tutto bene, Satir?»
«Sì, tutto bene.»
«Questo è l'indirizzo di un bed and breakfast che mi hanno consigliato per te in reparto.
Alle 19 mi raggiungi in ospedale, così ceniamo… con pizze, patatine e salmone e domani alle 6 appuntamento in Questura con bagaglio a mano.»
«Va bene, dottore… a dopo.»
Mi raggiunge Rebecca…
«Come stai, Pasquale? Hai sempre un'espressione indecifrabile: sei soddisfatto della tua vita, ti manca qualcosa, ti manca qualcuno?»
«Rebecca, non ho un bel carattere! Sono una persona ingombrante: sono permaloso e autoreferenziale. Soffro di falsa modestia e l'attenzione, il conforto, la lode non mi bastano mai.»
«Se poi non arrivano, mi sento ancora peggio.»
Forse perché il titolo di studio mi è costato molto in termini di impegno e sofferenza. Forse perché non ho mai avuto una grande considerazione di me stesso. Forse perché non ho mai brillato in niente e sono stato, e sono ancora, appena sufficiente in tutto.
E poi… non mi sono mai lasciato andare del tutto. Ho sempre avuto, e ho ancora, la ragionevolezza per fermarmi in tempo: un momento prima di cadere rovinosamente.
Eppure, sono certo, di errori ne ho fatti tanti, ma li ho pagati a caro prezzo, perché sono anche generoso ed altruista e le perdite mi hanno fatto malissimo, perché ho pensato di non averle meritate, eppure è stato così ed è stato difficile.»
«Pasquale, ti sottovaluti: hai ancora oggi, alla tua età, le carte in regola rispetto ai tuoi colleghi coetanei e pensionati. Ma ti assicuro che sei una bella persona… certo, hai comunque settant'anni e non sei lucido, hai difficoltà a inquadrare un problema, soprattutto ciò che ho notato dal primo momento è che sei scarso: insomma sì… sei scarso!!»
Rebecca si ferma… poi… inizia a ridere a crepapelle… io la seguo nella fragorosa risata e ci abbracciamo fraternamente, anche se Rebecca percepisce che il mio abbraccio non è proprio solo fraterno e lo ricambia ben volentieri.
«Più tardi verrà Satir… vuoi rimanere con noi così, mentre ceniamo, affrontiamo il discorso della trasferta estera?»
«Volentieri.»