.jpg)
Morte di un gettonista
Capitolo ventottesimo
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
giovedì 19 giugno 2025
«Ho affidato la ragazzina alla dottoressa Bonfanti.»
«Mi ha sorpreso la reazione dei genitori.»
«Specie del padre.»
«Non è la prima volta che vedo una storia del genere.»
«Credo di aver capito anche a chi si riferisse.»
«Conosco questa famiglia e ho capito anche chi sia il ragazzo: sono brave persone... mi sembra inverosimile.»
«Ci penseranno i carabinieri... tu credi che sporgeranno denuncia?»
«Una volta arrivati qui, con o senza denuncia, partono le indagini.»
«Hai ragione.»
«Beh... basta, mi danno fastidio queste storie, provo un certo imbarazzo... tra poco arriveranno le pizze... no?»
Chiudiamo la porta di una camera lungo il corridoio del reparto ed iniziamo ad aprire le guantiere di cartone su cui c'è la scritta: "La Pizzeria del Buongustaio", mentre il profumo delle pizze e delle patatine fritte ci avvolge.
«Ecco Rebecca... questa è la tua crudaiola e la tua birra, questa è la mia capricciosa e l'acqua frizzante, e questa è la vaschetta delle patatine fritte.»
«Grazie Pasquale, sei proprio un gentiluomo.»
«In tanti anni di servizio in ospedale, tranne che in rarissime occasioni, una cena con un medico non era mai capitata, tanto meno un medico che offre con tanta disinvoltura...»
«Non ci credo proprio Rebecca... ma tu da quanti anni sei qui in servizio?»
«In pediatria da tre anni, ma ho girato tutti i reparti, compreso il pronto soccorso. Sono in servizio in questo ospedale da quindici anni, ma il mio primo incarico, dopo aver superato l'esame di laurea in Infermieristica Ospedaliera, è stato a Milano e lì ci sono rimasta per otto anni.»
«Lì ho imparato a fare l'infermiera, con ritmi molto elevati ed in tutti i reparti.»
«Poi, durante le vacanze al mare qui in Basilicata, precisamente sul mare di Lagonegro, ho conosciuto Rino. Ci siamo sposati ed ho chiesto il trasferimento a Randolfi.»
«E tuo marito che fa?»
«È un idraulico, ha messo su una piccola azienda con cinque dipendenti e lavora molto e molto bene.»
«La mia capricciosa è proprio come la voglio io, sottile e croccante: buona.»
«E la tua?»
«Sì... sì... buona... poi con le patatine fritte...»
Le verso della birra mentre io mi servo dell'acqua minerale.
«E tu, dottore... neanche la birra hai preso?»
«Sono astemio Rebecca...»
«Non mi piace la birra, tanto meno il vino o i superalcolici.»
«Ok!»
In frigo ci sono delle pesche e poi del gelato in freezer...
Consumiamo la cena in serenità e in un clima di cameratismo.
Si sono fatte le ventidue.
«Mi ritiro in camera, Rebecca. Domani faremo un altro meeting prima di partire.»
«Devo telefonare a Satir per dirgli di venire domani, è bene che ci sia anche lui.»
«Buonanotte, dottore.»
«Buonanotte, Rebecca... e che sia una buona notte.»
Il tempo di stendere un lenzuolo pulito sulla branda e squilla il telefono.
«Dimmi, Giacinto.»
«È stata ritrovata l'arma del delitto... dei ragazzini, mentre giocavano a pallone nella villa di fronte all'ospedale e cercavano di recuperarlo finito in un grosso cespuglio di fiori, hanno notato quello che loro hanno chiamato un coltello lucente e hanno chiamato un vigile urbano che passava di lì in servizio.
Per fortuna, il vigile urbano con la torcia elettrica ha riconosciuto il bisturi, lo ha raccolto con un fazzoletto di carta e si è subito accorto che era sporco di sangue, per cui lo ha consegnato all'agente di guardia in questura.»
«Un vero colpo di fortuna.»
«Già, ogni tanto ci vuole. Domani il sangue sarà esaminato e così le impronte.»
«Benissimo. A domani.»
A pensarci bene, sono trascorse solo 48 ore dalla morte di Mustafà, eppure sembra sia passato molto più tempo.
Vivo un'esperienza straordinaria che, nella sua drammaticità, mi dà la possibilità di svolgere un ruolo che, da studente di medicina, di tanto in tanto vivevo solo nei desideri e nelle aspirazioni: il poliziotto.
E mentre, mezzo vestito, mi sdraio sul letto, mi torna in mente un episodio di tanti anni prima.
Indossavamo entrambi un impermeabile chiaro, il padre di Giacinto ed io, quando, arrivati a Bari ed accostata la 112, raggiungiamo con aria furtiva un gruppo di ragazzi, poco più giovani di noi, che sostano ad un incrocio.
Il mio amico li raggiunge e, senza presentarsi, inizia a fare domande che mi sorpresero, ma cui io capii che dovevo dare importanza e credibilità.
Mentre lui parla a monosillabi, io mi guardo le spalle a destra e a sinistra con fare professionale, tanto che nel momento in cui ci congediamo, uno dei ragazzi esclama: «Ma siete poliziotti?!» E noi siamo già in auto!
Eravamo in crisi di identità?
Non avevamo stima in ciò che studiavamo?
Il mio amico era impegnatissimo nei suoi studi di Scienze Politiche, io in Medicina..., eppure mi viene in mente un altro periodo in cui, in più di un'occasione, durante il viaggio in treno per raggiungere l'università, il mio amico, nell'attaccare bottone con le ragazze, raccontava di essere impiegato in una succursale angusta di una banca, addetto all'archivio, ed io impiegato alle poste, addetto alla sezione "timbri".
Raccontavo tutto, compenetrato, che il mio compito dalle 8:30 del mattino fino alle 17:30 del pomeriggio era mettere il timbro sulla corrispondenza: lettere, cartoline, raccomandate...
Poi, arrivati a destinazione, ci salutavamo così, senza spiegazioni, senza commenti, come se la nostra commedia fosse normale!
«Mi ha sorpreso la reazione dei genitori.»
«Specie del padre.»
«Non è la prima volta che vedo una storia del genere.»
«Credo di aver capito anche a chi si riferisse.»
«Conosco questa famiglia e ho capito anche chi sia il ragazzo: sono brave persone... mi sembra inverosimile.»
«Ci penseranno i carabinieri... tu credi che sporgeranno denuncia?»
«Una volta arrivati qui, con o senza denuncia, partono le indagini.»
«Hai ragione.»
«Beh... basta, mi danno fastidio queste storie, provo un certo imbarazzo... tra poco arriveranno le pizze... no?»
Chiudiamo la porta di una camera lungo il corridoio del reparto ed iniziamo ad aprire le guantiere di cartone su cui c'è la scritta: "La Pizzeria del Buongustaio", mentre il profumo delle pizze e delle patatine fritte ci avvolge.
«Ecco Rebecca... questa è la tua crudaiola e la tua birra, questa è la mia capricciosa e l'acqua frizzante, e questa è la vaschetta delle patatine fritte.»
«Grazie Pasquale, sei proprio un gentiluomo.»
«In tanti anni di servizio in ospedale, tranne che in rarissime occasioni, una cena con un medico non era mai capitata, tanto meno un medico che offre con tanta disinvoltura...»
«Non ci credo proprio Rebecca... ma tu da quanti anni sei qui in servizio?»
«In pediatria da tre anni, ma ho girato tutti i reparti, compreso il pronto soccorso. Sono in servizio in questo ospedale da quindici anni, ma il mio primo incarico, dopo aver superato l'esame di laurea in Infermieristica Ospedaliera, è stato a Milano e lì ci sono rimasta per otto anni.»
«Lì ho imparato a fare l'infermiera, con ritmi molto elevati ed in tutti i reparti.»
«Poi, durante le vacanze al mare qui in Basilicata, precisamente sul mare di Lagonegro, ho conosciuto Rino. Ci siamo sposati ed ho chiesto il trasferimento a Randolfi.»
«E tuo marito che fa?»
«È un idraulico, ha messo su una piccola azienda con cinque dipendenti e lavora molto e molto bene.»
«La mia capricciosa è proprio come la voglio io, sottile e croccante: buona.»
«E la tua?»
«Sì... sì... buona... poi con le patatine fritte...»
Le verso della birra mentre io mi servo dell'acqua minerale.
«E tu, dottore... neanche la birra hai preso?»
«Sono astemio Rebecca...»
«Non mi piace la birra, tanto meno il vino o i superalcolici.»
«Ok!»
In frigo ci sono delle pesche e poi del gelato in freezer...
Consumiamo la cena in serenità e in un clima di cameratismo.
Si sono fatte le ventidue.
«Mi ritiro in camera, Rebecca. Domani faremo un altro meeting prima di partire.»
«Devo telefonare a Satir per dirgli di venire domani, è bene che ci sia anche lui.»
«Buonanotte, dottore.»
«Buonanotte, Rebecca... e che sia una buona notte.»
Il tempo di stendere un lenzuolo pulito sulla branda e squilla il telefono.
«Dimmi, Giacinto.»
«È stata ritrovata l'arma del delitto... dei ragazzini, mentre giocavano a pallone nella villa di fronte all'ospedale e cercavano di recuperarlo finito in un grosso cespuglio di fiori, hanno notato quello che loro hanno chiamato un coltello lucente e hanno chiamato un vigile urbano che passava di lì in servizio.
Per fortuna, il vigile urbano con la torcia elettrica ha riconosciuto il bisturi, lo ha raccolto con un fazzoletto di carta e si è subito accorto che era sporco di sangue, per cui lo ha consegnato all'agente di guardia in questura.»
«Un vero colpo di fortuna.»
«Già, ogni tanto ci vuole. Domani il sangue sarà esaminato e così le impronte.»
«Benissimo. A domani.»
A pensarci bene, sono trascorse solo 48 ore dalla morte di Mustafà, eppure sembra sia passato molto più tempo.
Vivo un'esperienza straordinaria che, nella sua drammaticità, mi dà la possibilità di svolgere un ruolo che, da studente di medicina, di tanto in tanto vivevo solo nei desideri e nelle aspirazioni: il poliziotto.
E mentre, mezzo vestito, mi sdraio sul letto, mi torna in mente un episodio di tanti anni prima.
Indossavamo entrambi un impermeabile chiaro, il padre di Giacinto ed io, quando, arrivati a Bari ed accostata la 112, raggiungiamo con aria furtiva un gruppo di ragazzi, poco più giovani di noi, che sostano ad un incrocio.
Il mio amico li raggiunge e, senza presentarsi, inizia a fare domande che mi sorpresero, ma cui io capii che dovevo dare importanza e credibilità.
Mentre lui parla a monosillabi, io mi guardo le spalle a destra e a sinistra con fare professionale, tanto che nel momento in cui ci congediamo, uno dei ragazzi esclama: «Ma siete poliziotti?!» E noi siamo già in auto!
Eravamo in crisi di identità?
Non avevamo stima in ciò che studiavamo?
Il mio amico era impegnatissimo nei suoi studi di Scienze Politiche, io in Medicina..., eppure mi viene in mente un altro periodo in cui, in più di un'occasione, durante il viaggio in treno per raggiungere l'università, il mio amico, nell'attaccare bottone con le ragazze, raccontava di essere impiegato in una succursale angusta di una banca, addetto all'archivio, ed io impiegato alle poste, addetto alla sezione "timbri".
Raccontavo tutto, compenetrato, che il mio compito dalle 8:30 del mattino fino alle 17:30 del pomeriggio era mettere il timbro sulla corrispondenza: lettere, cartoline, raccomandate...
Poi, arrivati a destinazione, ci salutavamo così, senza spiegazioni, senza commenti, come se la nostra commedia fosse normale!