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Il Ponte dell'Almà
Capitolo terzo
"Il Ponte dell'Almà", il nuovo romanzo a puntate del dott. Antonio Marzano
domenica 5 ottobre 2025
Mi sono fermato lungo il viale di pini alti, maestosi ed ombreggianti ed ho raggiunto il Ponte dell'Alma.
Il camminamento pedonale è tutto occupato da sterpaglie. Faccio fatica a scansare i rovi lungo il guardrail. E credo che sia un serio impedimento per chiunque voglia sollevare un cadavere e lanciarlo dalla balaustra del ponte. Ci vuole tempo, forza e coraggio; si può essere visti da chiunque arrivi in auto ed in qualsiasi momento.
Mi affaccio alla balaustra e devo dire che è la prima volta che osservo questo profondo avvallamento che scivola fino alla spiaggia di Torre della Guardia... lo sguardo arriva fino al mare azzurro, e la spiaggia di ciottoli bianchi riluce sotto i raggi del sole. La stessa cosa vale per chi, pur motivato da desiderio suicida, deve superare questi ostacoli. Non lo individuo, eppure deve esistere un viottolo per arrivare fino a valle.
Senza dimenticare che arrivando in auto con il cadavere da lanciare o solo, con l'intento di lanciarsi, l'auto deve essere necessariamente parcheggiata piuttosto lontano e portare a termine l'intento non è semplice.
Da qualche tempo, in attesa di una ricostruzione del Ponte «alle calende greche», per maggiore sicurezza, è stato posizionato un semaforo, sia a nord che a sud in modo da evitare l'incrocio delle auto, e ciò complica ancora di più le cose. Comunque c'è sempre qualcuno fermo in auto che vede, qualsiasi cosa si faccia. E allora? Mah!
Lo percorro tutto il tragitto, sia verso Nitra, sia verso Glielfi, ma non c'è un varco che mi dia la possibilità di fermarmi. I miei dubbi aumentano senza che io sia capace di dare una spiegazione.
E se qualcuno avesse trasportato il corpo lungo la scarpata fino giù a fondo valle?
Ed anche così non riesco ad individuare il punto da cui qualcuno sia potuto scendere... e se fosse stato così, il corpo di Franca avrebbe dovuto presentare graffi e tagli su tutto il corpo... magari li aveva e sono stati attribuiti al suo gesto suicida.
Ritorno lemme lemme in auto e non mi rimane che chiamare Ottavio.
Al terzo squillo mi risponde e
«Ciao Ottavio, sono Pasquale, possiamo vederci tra una mezz'ora?»
«Certo Pasquale, certo, e grazie della telefonata»
«Abito alla Chiazzod, in una vecchia casa ereditata da mio padre al secondo piano»
«Dovrai parcheggiare l'auto alla Villa Comunale e poi raggiungermi a piedi»
«Io ti verrò incontro in via Cardinale Dell'Olio»
«Bene»
E prima di raggiungere Ottavio e dopo aver parcheggiato, mi fermo al Bar Cova.
Tutto sa di strano, di poco comprensibile. Un amico di scuola mi chiede di indagare sulla morte della moglie, riponendo in me una fiducia che non merito, solo perché lui ha letto della storia di Randolfi... in che storia mi sto infilando?
«Un caffè ristretto ed un mezzo bicchiere di acqua frizzante»
«Subito, dottore» mi risponde il barman cui mi lega l'amicizia maturata negli anni in cui ho seguito i suoi figli.
Sono trascorsi i miei anni di adolescente, quando la sera venivo a «cenare» qui dopo un pomeriggio di studio, con un cono di gelato nocciola, caffè e panna sopra e sotto e negli anni successivi coperta anche da noccioline.
Sono trascorsi i travagliati anni del Liceo, quando fino al giorno dell'uscita dei quadri, vivevo nell'ansia di una rimandatura, e sono trascorsi gli anni dell'Università, anni in cui mi sembrava di battermi contro un mostro a tre teste: ne riuscivo a tagliarne la prima, a schivare la seconda, ma inevitabilmente la terza mi azzannava e tornando a casa mio padre, piuttosto che medicarmi, mi rimproverava di non essere stato capace di farlo fuori il benedetto mostro.
Eppure in più di un'occasione mi sono chiesto se il modo di affrontare gli studi allora fosse quello più giusto.
Non avevo una risposta. Ma poi, dopo tante sconfitte e sofferenze mie e di tanti studenti, forse si è capito che non si può giocare circa dodici mesi di studio per un esame, in un'ora. Avevo ragione. Poi è cambiato molto, moltissimo.
«Prego, dottore»
Sorseggio l'acqua fredda e frizzante e poi il mio caffè con zucchero.
«Dottore, vi ricordate quando durante l'estate, la sera dopo lo studio, arrivavate qui in Vespa e vi preparavo la vaschetta di gelato?»
«Certo che mi ricordo, me lo ricordo molto bene, e devi sapere che arrivato a casa quasi sempre la tua vaschetta di gelato la consumavo da solo come aperitivo»
«Caspita... ed ora?»
«Ora non ne sarei più capace non solo, ma ora mi fa male... forse perché ne ho divorato tanto, tantissimo»
E giù una risata fragorosa...
«Ciao Mauro»
«Ciao dottore... è sempre un piacere servirla e parlare con lei!»
Lentamente mi incammino verso il centro storico di Glielfi, mi lascio sulla destra l'ingresso monumentale del nostro Cinema Teatro Comunale perennemente con il grande portone chiuso. Poi tutta una serie di luoghi di ristorazione, la vera cultura di Glielfi.
Il camminamento pedonale è tutto occupato da sterpaglie. Faccio fatica a scansare i rovi lungo il guardrail. E credo che sia un serio impedimento per chiunque voglia sollevare un cadavere e lanciarlo dalla balaustra del ponte. Ci vuole tempo, forza e coraggio; si può essere visti da chiunque arrivi in auto ed in qualsiasi momento.
Mi affaccio alla balaustra e devo dire che è la prima volta che osservo questo profondo avvallamento che scivola fino alla spiaggia di Torre della Guardia... lo sguardo arriva fino al mare azzurro, e la spiaggia di ciottoli bianchi riluce sotto i raggi del sole. La stessa cosa vale per chi, pur motivato da desiderio suicida, deve superare questi ostacoli. Non lo individuo, eppure deve esistere un viottolo per arrivare fino a valle.
Senza dimenticare che arrivando in auto con il cadavere da lanciare o solo, con l'intento di lanciarsi, l'auto deve essere necessariamente parcheggiata piuttosto lontano e portare a termine l'intento non è semplice.
Da qualche tempo, in attesa di una ricostruzione del Ponte «alle calende greche», per maggiore sicurezza, è stato posizionato un semaforo, sia a nord che a sud in modo da evitare l'incrocio delle auto, e ciò complica ancora di più le cose. Comunque c'è sempre qualcuno fermo in auto che vede, qualsiasi cosa si faccia. E allora? Mah!
Lo percorro tutto il tragitto, sia verso Nitra, sia verso Glielfi, ma non c'è un varco che mi dia la possibilità di fermarmi. I miei dubbi aumentano senza che io sia capace di dare una spiegazione.
E se qualcuno avesse trasportato il corpo lungo la scarpata fino giù a fondo valle?
Ed anche così non riesco ad individuare il punto da cui qualcuno sia potuto scendere... e se fosse stato così, il corpo di Franca avrebbe dovuto presentare graffi e tagli su tutto il corpo... magari li aveva e sono stati attribuiti al suo gesto suicida.
Ritorno lemme lemme in auto e non mi rimane che chiamare Ottavio.
Al terzo squillo mi risponde e
«Ciao Ottavio, sono Pasquale, possiamo vederci tra una mezz'ora?»
«Certo Pasquale, certo, e grazie della telefonata»
«Abito alla Chiazzod, in una vecchia casa ereditata da mio padre al secondo piano»
«Dovrai parcheggiare l'auto alla Villa Comunale e poi raggiungermi a piedi»
«Io ti verrò incontro in via Cardinale Dell'Olio»
«Bene»
E prima di raggiungere Ottavio e dopo aver parcheggiato, mi fermo al Bar Cova.
Tutto sa di strano, di poco comprensibile. Un amico di scuola mi chiede di indagare sulla morte della moglie, riponendo in me una fiducia che non merito, solo perché lui ha letto della storia di Randolfi... in che storia mi sto infilando?
«Un caffè ristretto ed un mezzo bicchiere di acqua frizzante»
«Subito, dottore» mi risponde il barman cui mi lega l'amicizia maturata negli anni in cui ho seguito i suoi figli.
Sono trascorsi i miei anni di adolescente, quando la sera venivo a «cenare» qui dopo un pomeriggio di studio, con un cono di gelato nocciola, caffè e panna sopra e sotto e negli anni successivi coperta anche da noccioline.
Sono trascorsi i travagliati anni del Liceo, quando fino al giorno dell'uscita dei quadri, vivevo nell'ansia di una rimandatura, e sono trascorsi gli anni dell'Università, anni in cui mi sembrava di battermi contro un mostro a tre teste: ne riuscivo a tagliarne la prima, a schivare la seconda, ma inevitabilmente la terza mi azzannava e tornando a casa mio padre, piuttosto che medicarmi, mi rimproverava di non essere stato capace di farlo fuori il benedetto mostro.
Eppure in più di un'occasione mi sono chiesto se il modo di affrontare gli studi allora fosse quello più giusto.
Non avevo una risposta. Ma poi, dopo tante sconfitte e sofferenze mie e di tanti studenti, forse si è capito che non si può giocare circa dodici mesi di studio per un esame, in un'ora. Avevo ragione. Poi è cambiato molto, moltissimo.
«Prego, dottore»
Sorseggio l'acqua fredda e frizzante e poi il mio caffè con zucchero.
«Dottore, vi ricordate quando durante l'estate, la sera dopo lo studio, arrivavate qui in Vespa e vi preparavo la vaschetta di gelato?»
«Certo che mi ricordo, me lo ricordo molto bene, e devi sapere che arrivato a casa quasi sempre la tua vaschetta di gelato la consumavo da solo come aperitivo»
«Caspita... ed ora?»
«Ora non ne sarei più capace non solo, ma ora mi fa male... forse perché ne ho divorato tanto, tantissimo»
E giù una risata fragorosa...
«Ciao Mauro»
«Ciao dottore... è sempre un piacere servirla e parlare con lei!»
Lentamente mi incammino verso il centro storico di Glielfi, mi lascio sulla destra l'ingresso monumentale del nostro Cinema Teatro Comunale perennemente con il grande portone chiuso. Poi tutta una serie di luoghi di ristorazione, la vera cultura di Glielfi.