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Morte di un gettonista
Capitolo trentacinquesimo
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
giovedì 17 luglio 2025
«Signora Rambaied, dovrà venire in Italia, a Randolfi, come sa, per un compito ingrato: deve riconoscere il cadavere di suo figlio. L'autopsia non ha aggiunto nulla al taglio operato con un bisturi alla gola del povero ragazzo, da mano per il momento ancora sconosciuta.»
Nella stanza scende un silenzio angosciante: né il capo della polizia, né tutti i poliziotti presenti proferiscono una parola dopo la scarna relazione del Commissario e la puntuale traduzione di Satir.
Sollevo lo sguardo e mi accorgo dell'espressione devastata dal dolore della povera donna.
Gli occhi le si gonfiano di lacrime e:
«Maledetti italiani... maledetto chiunque tu sia, uomo o donna... che tu possa bruciare al fuoco dell'inferno... maledetti!»
Satir riferisce anche il tono della traduzione simultanea, restituendo l'invettiva della donna.
«Figlio mio... figlio mio... perché sei andato via senza dirci niente? Cosa ti hanno fatto? Maledetti italiani!»
Urla in modo terribile, poi inizia ad avere un collasso. Barcolla. Mi avvicino, la sorreggo, la spostiamo su un divano in fondo alla grande sala. Le sollevo le gambe posizionandole su due grossi cuscini, e chiedo un bicchiere d'acqua.
Un poliziotto libanese si precipita fuori, tornando immediatamente con l'acqua. Le sorreggo il capo e la donna inizia a bere, tossendo subito dopo in modo violento.
Sembra che inizi a riprendere forze e presenza.
«Signori…» — anche Satir si gira per capire la provenienza della voce.
È la voce dell'ingegnere Rambaied.
«Pur sconvolto e costernato dalla morte di Mustafà, voglio comunque ringraziare la polizia italiana per tutto l'impegno che sta profondendo in questa indagine, e mi scuso per le invettive scorrette di mia moglie.»
Silenzio assoluto.
Dopo un minuto:
«Signori, io conoscevo molto bene mio figlio, e sono certo che c'è solo una spiegazione per tutto questo: una donna.»
«La sua ipotesi è plausibile», dice il Questore.
«Ingegnere, ma lei aveva notato qualcosa di diverso nel comportamento di suo figlio?»
«Fino a quando è stato a Beirut con noi, con sua moglie e i figli, non ho notato nulla. Era sempre lo stesso ragazzo, impegnato nelle sue priorità.
Poi ci disse che aveva deciso di fare il secondo anno della specializzazione in Pediatria ad Atene, e noi fummo felici di questa sua decisione... beh, tranne la moglie. Tuttavia Mustafà ci disse che sarebbe tornato mensilmente a casa, e anche la moglie e i figli ne furono contenti.»
«Nostro figlio è andato ad Atene nel mese di settembre dello scorso anno, e da allora non è più tornato. Quando lo chiamavamo al telefono, rispondeva a monosillabi e diceva sempre di essere molto impegnato in clinica.»
«Non ci chiedeva soldi più del necessario, per cui eravamo tranquilli, convinti che tutto procedesse bene.
È tornato a casa a fine anno: siamo stati tutti insieme, ed era il solito ragazzo, tranquillo e felice.»
«A gennaio è ripartito per Atene e da quel momento le nostre conversazioni si sono diradate. Ma è stato nel mese di maggio che si sono interrotte.
Non abbiamo più saputo nulla. Rispondeva sempre più spesso a monosillabi e alla mia domanda: "Mustafà, come stai?" mio figlio rispondeva: "Tutto bene, pa'…"»
«Ingegnere, le faccio vedere questa foto che abbiamo trovato tra gli effetti personali di suo figlio, nel bed & breakfast di Randolfi dove soggiornava quando usciva dall'ospedale.
Riconosce questa ragazza?»
Si avvicina anche la moglie e insieme guardano la foto.
«No, non l'abbiamo mai vista. Ma da ciò che si vede, non sembra una libanese, né una ragazza araba. Sembra una ragazza occidentale, in vacanza.»
«Grazie, Ingegnere, per la sua testimonianza: ci è stata molto utile. E grazie anche a lei, signora.
Avremmo voluto conoscervi in un'altra occasione.»
Una forte stretta di mano a tutti, e Giacinto esclama:
«Andiamo in aeroporto. Andiamo ad Atene.»
Nella stanza scende un silenzio angosciante: né il capo della polizia, né tutti i poliziotti presenti proferiscono una parola dopo la scarna relazione del Commissario e la puntuale traduzione di Satir.
Sollevo lo sguardo e mi accorgo dell'espressione devastata dal dolore della povera donna.
Gli occhi le si gonfiano di lacrime e:
«Maledetti italiani... maledetto chiunque tu sia, uomo o donna... che tu possa bruciare al fuoco dell'inferno... maledetti!»
Satir riferisce anche il tono della traduzione simultanea, restituendo l'invettiva della donna.
«Figlio mio... figlio mio... perché sei andato via senza dirci niente? Cosa ti hanno fatto? Maledetti italiani!»
Urla in modo terribile, poi inizia ad avere un collasso. Barcolla. Mi avvicino, la sorreggo, la spostiamo su un divano in fondo alla grande sala. Le sollevo le gambe posizionandole su due grossi cuscini, e chiedo un bicchiere d'acqua.
Un poliziotto libanese si precipita fuori, tornando immediatamente con l'acqua. Le sorreggo il capo e la donna inizia a bere, tossendo subito dopo in modo violento.
Sembra che inizi a riprendere forze e presenza.
«Signori…» — anche Satir si gira per capire la provenienza della voce.
È la voce dell'ingegnere Rambaied.
«Pur sconvolto e costernato dalla morte di Mustafà, voglio comunque ringraziare la polizia italiana per tutto l'impegno che sta profondendo in questa indagine, e mi scuso per le invettive scorrette di mia moglie.»
Silenzio assoluto.
Dopo un minuto:
«Signori, io conoscevo molto bene mio figlio, e sono certo che c'è solo una spiegazione per tutto questo: una donna.»
«La sua ipotesi è plausibile», dice il Questore.
«Ingegnere, ma lei aveva notato qualcosa di diverso nel comportamento di suo figlio?»
«Fino a quando è stato a Beirut con noi, con sua moglie e i figli, non ho notato nulla. Era sempre lo stesso ragazzo, impegnato nelle sue priorità.
Poi ci disse che aveva deciso di fare il secondo anno della specializzazione in Pediatria ad Atene, e noi fummo felici di questa sua decisione... beh, tranne la moglie. Tuttavia Mustafà ci disse che sarebbe tornato mensilmente a casa, e anche la moglie e i figli ne furono contenti.»
«Nostro figlio è andato ad Atene nel mese di settembre dello scorso anno, e da allora non è più tornato. Quando lo chiamavamo al telefono, rispondeva a monosillabi e diceva sempre di essere molto impegnato in clinica.»
«Non ci chiedeva soldi più del necessario, per cui eravamo tranquilli, convinti che tutto procedesse bene.
È tornato a casa a fine anno: siamo stati tutti insieme, ed era il solito ragazzo, tranquillo e felice.»
«A gennaio è ripartito per Atene e da quel momento le nostre conversazioni si sono diradate. Ma è stato nel mese di maggio che si sono interrotte.
Non abbiamo più saputo nulla. Rispondeva sempre più spesso a monosillabi e alla mia domanda: "Mustafà, come stai?" mio figlio rispondeva: "Tutto bene, pa'…"»
«Ingegnere, le faccio vedere questa foto che abbiamo trovato tra gli effetti personali di suo figlio, nel bed & breakfast di Randolfi dove soggiornava quando usciva dall'ospedale.
Riconosce questa ragazza?»
Si avvicina anche la moglie e insieme guardano la foto.
«No, non l'abbiamo mai vista. Ma da ciò che si vede, non sembra una libanese, né una ragazza araba. Sembra una ragazza occidentale, in vacanza.»
«Grazie, Ingegnere, per la sua testimonianza: ci è stata molto utile. E grazie anche a lei, signora.
Avremmo voluto conoscervi in un'altra occasione.»
Una forte stretta di mano a tutti, e Giacinto esclama:
«Andiamo in aeroporto. Andiamo ad Atene.»