Morte di un gettonista
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Morte di un gettonista

Capitolo trentaquattresimo

Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano

In reparto c'è un silenzio surreale.
Rebecca conferma che non c'è stato nessun accesso dal Pronto Soccorso.
Arriva Satir, ordiniamo svogliatamente una pizza, ma non riusciamo a mascherare il nervosismo.
Né Satir né io lo vogliamo ammettere, ma questa trasferta in Libano è del tutto inutile.
Che cosa si è capaci di pensare e di sostenere, quando si teme un luogo, una persona, un viaggio.
Nella mia memoria, il Libano è da sempre un Paese con grandi conflitti: è un eufemismo!
Non ricordo per quanti anni i libanesi si sono combattuti tra di loro in una infinita guerra civile.
Poi non mancano i bombardamenti che gli israeliani fanno per cercare di eliminare gli eterni nemici: Hezbollah.
E non ultima una grande esplosione proprio a Beirut che ha sconvolto la città.
Insomma, lasciamo la pizza a metà, mentre Rebecca ci guarda ed amorevolmente sussurra:
«Andrà tutto bene, state tranquilli, sì… andrà tutto bene».
Ma noi non siamo tranquilli.
Tuttavia, ci diamo appuntamento al giorno dopo alle 6 davanti alla Questura.
Avevo già avvisato Erika che verrà a darmi il cambio.
Buonanotte Rebecca.
Ed è per fortuna una buona notte, senza telefonate dal Pronto Soccorso né gestanti in travaglio.
Raggiungo la Questura in perfetto orario e, con un solo cenno di saluto, saliamo in macchina.
Dopo un viaggio di circa due ore siamo in aeroporto.
Le carte d'imbarco sono pronte per tutti e, dopo il check-in, ci imbarchiamo.
Questo lunedì di luglio è splendido. Il cielo è terso, non c'è un alito di vento, così il volo procede tranquillo.
Di tanto in tanto ci cerchiamo con lo sguardo, ma ho l'impressione che nessuno di noi, dal Commissario in primis, voglia far trapelare il nervosismo, quanto piuttosto trasmettere sicurezza e decisione.
Dopo un volo di circa tre ore atterriamo a Beirut.
La città dall'alto è bellissima; tutta affacciata sul mare, con un golfo incantevole ricco di barche di tutte le dimensioni.
Ed è in quel momento che mi torna in mente il Libano e Beirut come Paese dove si rifugiavano i grandi bancarottieri fraudolenti, i grandi evasori fiscali; era forse una Nazione che permetteva a tutti questi ospiti italiani di fare una vita tranquilla, da gran signori, senza il rischio di poter essere arrestati ed estradati in Italia.
Ma ora è tutt'altra storia.
I colleghi di Giacinto ci aspettano: una stretta di mano, un saluto che viene subito tradotto da Satir:
«Ben arrivati. Com'è andato il volo?»
E Giacinto, mentre guarda i colleghi libanesi, si rivolge a Satir e dice:
«Grazie, il volo è andato benissimo.»
E Satir traduce in simultanea in arabo.
Usciti dall'aeroporto, il caldo è soffocante e ci precipitiamo in macchina.
Dopo un tragitto di circa un'ora in un traffico enorme e caotico, raggiungiamo la Questura.
E lì ci scortano nell'ufficio del Questore.
Appena ci vede, ci viene incontro, ci stringe la mano; le presentazioni sono fatte da Giacinto, che prende la parola e racconta ciò che è successo a Randolfi nei giorni successivi al ritrovamento del cadavere di Mustafà.
Satir è così preciso e corretto nella traduzione che il Questore annuisce convinto e soddisfatto.
Il Questore è un signore dall'aspetto non curato, con una barba di tre/quattro giorni, con il nodo della cravatta irregolare, con una avanzata pinguedine ed un atteggiamento sì interessato, ma di totale sufficienza: sembra di capire che lui ha ben altri problemi da affrontare e risolvere.
Tuttavia, a un cenno convenuto, uno dei poliziotti che ci avevano accompagnato in auto si dirige verso la porta, la apre, si allontana per pochi minuti per rientrare preceduto da due signori, una donna e un uomo, che ci vengono presentati come i genitori di Mustafà Rambaied.
Satir fa un passo in avanti ed in arabo si presenta ai due genitori.
Il padre si regge con difficoltà sulle gambe malferme e si appoggia a un bastone; la madre ha un aspetto fiero, lo sguardo fermo che scruta i poliziotti italiani ma anche il Questore di Beirut.
Vengono fatti accomodare su comode poltrone.
«Signori,» prende la parola il Questore, «la polizia italiana è venuta qui a Beirut per farvi delle domande.
Siete disposti a rispondere alle domande del Commissario di polizia italiano?»
I genitori sommessamente acconsentono.
«Signori Rambaied, mi dispiace molto per ciò che è successo a vostro figlio e mi scuso se vi porgo delle domande in questo momento in cui siete devastati dalla sua morte.
Purtroppo le indagini svolte in Italia a Randolfi, per il momento, non ci hanno dato una pista chiara e sicura.
Per cui siamo qui per sapere se… ed è questa la prima domanda… se Mustafà, qui in Libano e a Beirut, si sia potuto fare dei nemici.»
«Nostro figlio è stato un ragazzo modello. Ha sempre studiato, ha conseguito la Maturità e poi si è iscritto all'Università di Medicina qui a Beirut.
Durante gli anni dell'università ha conosciuto una sua collega. Si sono tanto piaciuti che Safira, dopo solo un mese di relazione, aspettava un figlio.
Si sono sposati e lo hanno voluto fortemente, e mentre Mustafà ha continuato a studiare fino a conseguire la laurea in regola, Safira ha rallentato lo studio fino alla nascita di Omar. Subito dopo ha ripreso gli studi di Medicina.»
«Signora, suo figlio si è mai impegnato politicamente?»
«Era iscritto a un partito politico?»
«Credo proprio di no, altrimenti lo avremmo saputo; avevamo un ottimo rapporto figlio-genitori, ci raccontava tutto.»
«E i rapporti con la moglie come procedevano?»
«Bene. Ci incontravamo quasi ogni giorno. Erano molto legati a Omar e poi alla bambina; eh sì, perché dopo la laurea hanno deciso insieme, e di comune accordo, di avere un secondo figlio.»
«E perché poi suo figlio ha deciso di andare all'Università di Atene e di specializzarsi in Pediatria ad Atene?»
«Mustafà è andato ad Atene per seguire un corso che sarebbe durato solo un anno, ma poi sarebbe rientrato dalla sua famiglia a Beirut.»
«Quindi, signora, mi faccia capire bene… suo figlio Mustafà non aveva conseguito la specializzazione in Pediatria?»
«No, era al secondo anno! E da noi la specialità dura cinque anni.»
Giacinto ci lancia uno sguardo interrogativo, poi rivolgendosi a Satir esclama:
«Hai tradotto bene ciò che ha detto la signora?»
«Certo, Commissario… se vuole lo faccio ripetere.»
«No, no… è una bella scoperta. E allora com'è stato possibile essere accettato nella cooperativa di Furio Occorsi?!
E poi, come mai la Direzione Sanitaria non ha controllato i certificati di laurea e di specializzazione, insomma il curriculum? Poi controlleremo anche questo.»
«Mi perdoni, signora, ma lei era a conoscenza che suo figlio, da circa una settimana, era venuto in Italia?»
«No, no… altrimenti glielo avremmo impedito!»
«E secondo lei cosa può aver spinto suo figlio a fare una cosa del genere? Era turbato? Era cambiato negli ultimi tempi? Chi frequentava?
Può aver contratto debiti con qualcuno?»
«Commissario, ora ho bisogno io di farle una domanda…Come è stato ucciso mio figlio?»
  • Antonio Marzano
  • dottor Antonio Marzano
Morte di un gettonista

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Racconto giallo a cura del dott. Antonio Marzano

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