
Morte di un gettonista
Capitolo trentaseiesimo
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
martedì 22 luglio 2025
Mentre siamo in attesa dell'imbarco per Atene, vedo Giacinto particolarmente silenzioso.
L'invettiva della madre di Mustafà mi rimbomba ancora nella testa. È stata molto forte: disperata, senza sconti.
Un dolore insostenibile, insieme a un desiderio di vendetta che non conosce ripensamenti, tanto meno perdono.
Non so per gli altri compagni di viaggio, ma almeno per me è la prima volta che assisto, dal vivo, alla reazione di una madre araba alla perdita di un figlio.
Probabilmente, nella religione musulmana non è previsto il perdono, esiste solo la vendetta.
È questo che spiega l'invettiva della signora Rambaied? Non solo verso il colpevole, ma verso tutti gli italiani, rei di tenere così poco conto del valore di una vita umana?
Non lo so. Tuttavia, credo che sia comprensibile.
«Pasquale, che ne pensi di questa storia?»
«Giacinto, è una storia eccessiva nel suo esito finale. Me ne sono fatto un'idea — come sono certo anche tu — tuttavia, ripeto, la decisione finale, forse causata da un'incomprensione, mi sembra comunque eccessiva.
Sono certo che scopriremo non solo il colpevole materiale, o l'eventuale mandante, ma soprattutto le ragioni più profonde di questo omicidio efferato.»
«Hai ragione, Pasquale. Concordo con te… e da Atene mi aspetto le risposte che cerco io e che cerchiamo tutti.»
All'uscita dell'aeroporto, la Polizia di Atene ci attende. Ci accompagnano in due auto alla Questura, dove, dopo una breve attesa, è il Questore in persona ad aprire la porta e a farci accomodare.
Satir è il primo che Giacinto presenta al Questore, poi l'Ispettrice, l'Ispettore e infine il dottor Pasquale Traini.
Vedo un'espressione interrogativa nello sguardo del Questore, ma alla fine sembra pensare: "Contento tu, collega italiano, contento io."
Era già a conoscenza del motivo della nostra visita e si mostra pronto a collaborare.
«Caro Giacinto, noi non abbiamo mai incontrato il giovane dottor Mustafà Rambaied, né ci sono mai arrivate segnalazioni di comportamenti strani o frequentazioni sospette, né all'interno della Clinica Pediatrica, né fuori, durante i mesi trascorsi ad Atene.
Anzi, abbiamo parlato con il Direttore della Clinica Pediatrica, il professor Costantinos Lonidadis, e ci ha raccontato della grande educazione e diligenza di Mustafà. Un ragazzo libanese, animato da tanta volontà di imparare e di svolgere al meglio il suo incarico presso la clinica.
Ci ha anche riferito di non aver subito notato la sua assenza, che aveva attribuito a esigenze familiari a Beirut, non certo a una fuga in Italia.»
«Aspettavamo voi per continuare le indagini.»
«Grazie, signor Questore. Credo che sia importante rintracciare un collega di corso di Mustafà e sapere da lui se nascondesse qualcosa.»
«Concordo perfettamente. A questo punto, visto che con voi c'è il signor Satir, un bravo traduttore, vi do carta bianca. Muovetevi come ritenete più opportuno.»
Dopo le strette di mano, calorose e cordiali, guadagniamo l'uscita.
«Ragazzi, non so voi, ma io ho bisogno di un caffè... e non solo.»
«Sì, sì, anche io!» dicono gli Ispettori.
All'uscita della Questura c'è un bar molto elegante. Ci accomodiamo a due tavolini all'ombra di un grande ombrellone.
In attesa di ordinare, mi accorgo del gran numero di turisti che si aggirano per la città: ragazzi e ragazze, prevalentemente, che scelgono di visitare Atene.
«Buongiorno, signori, cosa posso servirvi?»
Una voce squillante di ragazza ci raggiunge. Parla un perfetto italiano.
«Sì, sono italiana. Studio Cultura e Letteratura Classica all'Università di Atene, e con questo lavoro — prevalentemente estivo — pago l'affitto di casa.»
«Brava!» esclamiamo tutti in coro.
Giacinto tira fuori una fotografia e:
«Mi dica, ha mai visto questa coppia di ragazzi?»
Lei osserva attentamente la foto, molto attentamente, e prima di parlare assume un'aria dubbiosa. Poi:
«No, non li ho mai visti. Comunque... voi chi siete?»
Giacinto mostra il tesserino.
«Polizia Italiana.»
La ragazza sussulta:
«Polizia?!»
Mentre ordiniamo la colazione, Giacinto chiede:
«Ci può indicare la strada per raggiungere l'Università di Medicina, o sapere dove si trovano le Cliniche Specialistiche, in particolare la Clinica Pediatrica?»
«Dottore, io non lo so, ma chiedo al titolare e vi scrivo tutto!»
Prende le ordinazioni e si allontana.
Il vassoio con i cornetti caldi, le spremute d'arancia e i caffè neri è un grande conforto per tutti noi.
Dopo averlo posato, la giovane ragazza italiana si rivolge a Giacinto:
«Commissario, ecco, questo è il tragitto da fare. È piuttosto lontano da qui… vi conviene prendere un taxi e mostrare al tassista il biglietto con l'itinerario.»
«Grazie. Come ti chiami e di dove sei?»
«Mi chiamo Rosa e sono di Viterbo.»
«Ancora grazie, Rosa.»
Giacinto fa scivolare una banconota da cinquanta euro sul tavolino.
«Tieni, Rosa. Il resto è per te. Mi raccomando: continua a studiare.»
«Grazie, Commissario, grazie!» risponde lei, allontanandosi con un gran sorriso.
Come consigliato da Rosa, raggiungiamo in taxi l'Elpis, l'ospedale generale di Atene.
Mi sembra una palazzina datata e poco curata, ma questo a noi non interessa.
Piuttosto che cercare colleghi e colleghe di Mustafà direttamente nell'ospedale, Giacinto propone:
«Ragazzi, invece di entrare adesso in ospedale — dove saranno tutti impegnati in corsia — andiamo nei bar più vicini. Che ne pensate?»
«Ottima idea» … e «Speriamo in un colpo di fortuna.»
Il primo bar è poco distante. È affollato di ragazze e ragazzi.
Mentre gli Ispettori restano fuori, Satir, Giacinto ed io entriamo.
Satir si presenta come interprete a un gruppo di giovani, mentre Giacinto aggiunge:
«Ragazzi, buongiorno. Sono un poliziotto italiano, un Commissario, e ho bisogno di farvi qualche domanda.»
Mostra il tesserino.
Alle parole di Satir, alcuni si spaventano.
«Tranquilli, ragazzi. Vi mostro una foto: li riconoscete?»
Si passano rapidamente la foto, la osservano distrattamente.
«No, non li abbiamo mai visti.»
Ci spostiamo al secondo tavolino: stessa scena. Poi al terzo.
Fino a quando ci raggiunge la proprietaria del bar.
«Signori, chi siete? State dando fastidio ai clienti. Se non consumate nulla, vi invito ad andarvene. Altrimenti chiamo la polizia.»
«Signora, stia calma. Siamo noi la polizia: Polizia Italiana.»
La donna cambia subito espressione mentre Giacinto le mostra il tesserino e la foto.
«Ho bisogno di farle una domanda, e spero possa aiutarci.»
«Mi dica, Commissario.»
«Ha mai visto questi ragazzi?»
Prende la foto, si mette gli occhiali da lettura e...
«Sì… li conosco. E molto bene! Seguitemi.»
L'invettiva della madre di Mustafà mi rimbomba ancora nella testa. È stata molto forte: disperata, senza sconti.
Un dolore insostenibile, insieme a un desiderio di vendetta che non conosce ripensamenti, tanto meno perdono.
Non so per gli altri compagni di viaggio, ma almeno per me è la prima volta che assisto, dal vivo, alla reazione di una madre araba alla perdita di un figlio.
Probabilmente, nella religione musulmana non è previsto il perdono, esiste solo la vendetta.
È questo che spiega l'invettiva della signora Rambaied? Non solo verso il colpevole, ma verso tutti gli italiani, rei di tenere così poco conto del valore di una vita umana?
Non lo so. Tuttavia, credo che sia comprensibile.
«Pasquale, che ne pensi di questa storia?»
«Giacinto, è una storia eccessiva nel suo esito finale. Me ne sono fatto un'idea — come sono certo anche tu — tuttavia, ripeto, la decisione finale, forse causata da un'incomprensione, mi sembra comunque eccessiva.
Sono certo che scopriremo non solo il colpevole materiale, o l'eventuale mandante, ma soprattutto le ragioni più profonde di questo omicidio efferato.»
«Hai ragione, Pasquale. Concordo con te… e da Atene mi aspetto le risposte che cerco io e che cerchiamo tutti.»
All'uscita dell'aeroporto, la Polizia di Atene ci attende. Ci accompagnano in due auto alla Questura, dove, dopo una breve attesa, è il Questore in persona ad aprire la porta e a farci accomodare.
Satir è il primo che Giacinto presenta al Questore, poi l'Ispettrice, l'Ispettore e infine il dottor Pasquale Traini.
Vedo un'espressione interrogativa nello sguardo del Questore, ma alla fine sembra pensare: "Contento tu, collega italiano, contento io."
Era già a conoscenza del motivo della nostra visita e si mostra pronto a collaborare.
«Caro Giacinto, noi non abbiamo mai incontrato il giovane dottor Mustafà Rambaied, né ci sono mai arrivate segnalazioni di comportamenti strani o frequentazioni sospette, né all'interno della Clinica Pediatrica, né fuori, durante i mesi trascorsi ad Atene.
Anzi, abbiamo parlato con il Direttore della Clinica Pediatrica, il professor Costantinos Lonidadis, e ci ha raccontato della grande educazione e diligenza di Mustafà. Un ragazzo libanese, animato da tanta volontà di imparare e di svolgere al meglio il suo incarico presso la clinica.
Ci ha anche riferito di non aver subito notato la sua assenza, che aveva attribuito a esigenze familiari a Beirut, non certo a una fuga in Italia.»
«Aspettavamo voi per continuare le indagini.»
«Grazie, signor Questore. Credo che sia importante rintracciare un collega di corso di Mustafà e sapere da lui se nascondesse qualcosa.»
«Concordo perfettamente. A questo punto, visto che con voi c'è il signor Satir, un bravo traduttore, vi do carta bianca. Muovetevi come ritenete più opportuno.»
Dopo le strette di mano, calorose e cordiali, guadagniamo l'uscita.
«Ragazzi, non so voi, ma io ho bisogno di un caffè... e non solo.»
«Sì, sì, anche io!» dicono gli Ispettori.
All'uscita della Questura c'è un bar molto elegante. Ci accomodiamo a due tavolini all'ombra di un grande ombrellone.
In attesa di ordinare, mi accorgo del gran numero di turisti che si aggirano per la città: ragazzi e ragazze, prevalentemente, che scelgono di visitare Atene.
«Buongiorno, signori, cosa posso servirvi?»
Una voce squillante di ragazza ci raggiunge. Parla un perfetto italiano.
«Sì, sono italiana. Studio Cultura e Letteratura Classica all'Università di Atene, e con questo lavoro — prevalentemente estivo — pago l'affitto di casa.»
«Brava!» esclamiamo tutti in coro.
Giacinto tira fuori una fotografia e:
«Mi dica, ha mai visto questa coppia di ragazzi?»
Lei osserva attentamente la foto, molto attentamente, e prima di parlare assume un'aria dubbiosa. Poi:
«No, non li ho mai visti. Comunque... voi chi siete?»
Giacinto mostra il tesserino.
«Polizia Italiana.»
La ragazza sussulta:
«Polizia?!»
Mentre ordiniamo la colazione, Giacinto chiede:
«Ci può indicare la strada per raggiungere l'Università di Medicina, o sapere dove si trovano le Cliniche Specialistiche, in particolare la Clinica Pediatrica?»
«Dottore, io non lo so, ma chiedo al titolare e vi scrivo tutto!»
Prende le ordinazioni e si allontana.
Il vassoio con i cornetti caldi, le spremute d'arancia e i caffè neri è un grande conforto per tutti noi.
Dopo averlo posato, la giovane ragazza italiana si rivolge a Giacinto:
«Commissario, ecco, questo è il tragitto da fare. È piuttosto lontano da qui… vi conviene prendere un taxi e mostrare al tassista il biglietto con l'itinerario.»
«Grazie. Come ti chiami e di dove sei?»
«Mi chiamo Rosa e sono di Viterbo.»
«Ancora grazie, Rosa.»
Giacinto fa scivolare una banconota da cinquanta euro sul tavolino.
«Tieni, Rosa. Il resto è per te. Mi raccomando: continua a studiare.»
«Grazie, Commissario, grazie!» risponde lei, allontanandosi con un gran sorriso.
Come consigliato da Rosa, raggiungiamo in taxi l'Elpis, l'ospedale generale di Atene.
Mi sembra una palazzina datata e poco curata, ma questo a noi non interessa.
Piuttosto che cercare colleghi e colleghe di Mustafà direttamente nell'ospedale, Giacinto propone:
«Ragazzi, invece di entrare adesso in ospedale — dove saranno tutti impegnati in corsia — andiamo nei bar più vicini. Che ne pensate?»
«Ottima idea» … e «Speriamo in un colpo di fortuna.»
Il primo bar è poco distante. È affollato di ragazze e ragazzi.
Mentre gli Ispettori restano fuori, Satir, Giacinto ed io entriamo.
Satir si presenta come interprete a un gruppo di giovani, mentre Giacinto aggiunge:
«Ragazzi, buongiorno. Sono un poliziotto italiano, un Commissario, e ho bisogno di farvi qualche domanda.»
Mostra il tesserino.
Alle parole di Satir, alcuni si spaventano.
«Tranquilli, ragazzi. Vi mostro una foto: li riconoscete?»
Si passano rapidamente la foto, la osservano distrattamente.
«No, non li abbiamo mai visti.»
Ci spostiamo al secondo tavolino: stessa scena. Poi al terzo.
Fino a quando ci raggiunge la proprietaria del bar.
«Signori, chi siete? State dando fastidio ai clienti. Se non consumate nulla, vi invito ad andarvene. Altrimenti chiamo la polizia.»
«Signora, stia calma. Siamo noi la polizia: Polizia Italiana.»
La donna cambia subito espressione mentre Giacinto le mostra il tesserino e la foto.
«Ho bisogno di farle una domanda, e spero possa aiutarci.»
«Mi dica, Commissario.»
«Ha mai visto questi ragazzi?»
Prende la foto, si mette gli occhiali da lettura e...
«Sì… li conosco. E molto bene! Seguitemi.»