
Morte di un gettonista
Capitolo trentasettesimo
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
giovedì 24 luglio 2025
«Ciro, tu vai alla cassa, Elena tu al bancone; io mi allontano con i signori, torno subito!»
«Seguitemi» ripete con piglio sicuro Sofia.
Raggiungiamo il retro del bar, all'ombra di una grande quercia. Seduti a un tavolino, la signora si presenta come Sofia Angelopulos e dice: «Commissario, mi dica…»
«Sofia, lei quindi riconosce in foto questa coppia di giovani?»
«Sì, li riconosco.»
«E mi sa dire qualcosa di più?»
«Commissario, lei è italiano ed è venuto ad Atene per indagare su questi ragazzi… come mai?»
«Sofia, le domande le faccio io, tuttavia, visto che lei può aiutarci nelle indagini, le dico che il ragazzo è stato ucciso in Italia, a Randolfi, in ospedale, esattamente durante la notte tra lo scorso venerdì e sabato.»
Sofia sgrana gli occhi, con un'espressione di stupore e angoscia: «Ucciso?»
«Sì, ucciso… sgozzato!»
«Il ragazzo è, come quindi sapete, il dottor Mustafà Rambaied, libanese di Beirut, e la ragazza è Emma, una ragazza italiana, di cui non so il cognome, che nel mese di aprile era venuta in vacanza da sola qui ad Atene.»
«Si sono conosciuti nel mio bar, in una sera di fine aprile; erano entrambi soli.»
«Il dottore lo avevo già servito più di una volta, quando usciva dall'ospedale: era piuttosto loquace e sorridente; mi parlava di Beirut, della sua famiglia, di sua moglie e dei figli.»
«Mi diceva che era venuto qui ad Atene in Clinica Pediatrica per seguire un corso di studi e frequenza di 12 mesi.»
«Era molto orgoglioso della sua figura di medico e felice di poter tornare a Beirut a terminare gli studi, per poi esercitare la professione di pediatra.»
«La ragazza, Emma, l'ho vista quella sera per la prima volta: una ragazza alta, dai capelli rossi, con occhi verdi, spigliata e sorridente.»
«Ordinò un aperitivo analcolico a base di frutta, accompagnato da acqua frizzante.»
«Sorseggiava il suo aperitivo e si guardava intorno: si vedeva che cercava compagnia.»
Ad un certo punto arriva Mustafà, anche lui solo. Si avvicina al bancone e mi chiede un panino imbottito, poi caffè e acqua frizzante.
Sono gli unici in piedi al bancone, a circa un metro di distanza, quando Emma, in italiano, dice: «Anche tu bevi acqua frizzante?»
Ma Mustafà non risponde perché non conosce la lingua italiana. A questo punto Emma rifà la domanda in inglese e lui risponde.
Non ho seguito tutto il resto del discorso, perché ero molto indaffarata; so soltanto che sono rimasti al bancone per oltre un'ora a conversare.
L'empatia è stata immediata: mentre servivo gli altri clienti, mi compiacevo di quanto soprattutto il giovane dottore fosse contento dell'incontro.
E poi Emma è una bella ragazza, del tutto diversa da noi. Con i suoi occhi verdi, il rosso morbido e dolce dei suoi lunghi capelli, era uno splendore.
E più trascorrevano i minuti, più mi accorgevo di quanto il ragazzo fosse coinvolto dalla ragazza.
Lui, poi, da perfetto gentiluomo, ha offerto la consumazione e sono andati via insieme.
Ricordo che lei gli stringeva la mano e questo comportamento mi colpì molto.
Satir fa fatica a tradurre, ma alla fine il resoconto è puntuale e preciso.
Dopo un minuto: «Da quella sera di fine aprile sono tornati ogni sera; si sedevano a un tavolino appartato, ordinavano da bere e anche qualche snack e rimanevano a parlare a lungo, guardandosi negli occhi.»
«Mustafà era completamente perso, ed Emma anche. Lui non aveva bisogno di nascondersi perché erano in pochi a conoscerlo.»
«Ero io che sapevo della situazione sentimentale e familiare di Mustafà, per cui, sera dopo sera, ero sempre più preoccupata per ciò che stava accadendo sotto i miei occhi.»
«Ma preferivo non dire niente.»
«Fino a quando, una sera — era trascorso già un mese circa, quindi eravamo a metà maggio — mi accorsi che Emma non sorrideva più, anzi aveva un aspetto sofferente, non ordinava nulla e sembrava avesse conati di vomito.»
«Una sera vomitò in un sacchetto di plastica che portava sempre con sé; mi avvicinai e dissi: "Signorina Emma, non sta bene? Ha bisogno di qualcosa?"»
Il suo viso chiaro, di carnagione nordica/normanna, divenne rosso e, mentre abbassava lo sguardo, con un filo di voce disse: «Sofia, sono incinta!»
E si alzò per andare in bagno.
Mustafà aveva un'espressione sconvolta e io non riuscii a mascherare né la mia meraviglia né la mia preoccupazione.
Lo guardai fisso negli occhi e dissi: «Ma lei lo sa?»
«No.»
«E che farai ora?»
«Voglio stare con Emma. Non voglio perderla.»
«E tua moglie? I tuoi figli?»
«Seguitemi» ripete con piglio sicuro Sofia.
Raggiungiamo il retro del bar, all'ombra di una grande quercia. Seduti a un tavolino, la signora si presenta come Sofia Angelopulos e dice: «Commissario, mi dica…»
«Sofia, lei quindi riconosce in foto questa coppia di giovani?»
«Sì, li riconosco.»
«E mi sa dire qualcosa di più?»
«Commissario, lei è italiano ed è venuto ad Atene per indagare su questi ragazzi… come mai?»
«Sofia, le domande le faccio io, tuttavia, visto che lei può aiutarci nelle indagini, le dico che il ragazzo è stato ucciso in Italia, a Randolfi, in ospedale, esattamente durante la notte tra lo scorso venerdì e sabato.»
Sofia sgrana gli occhi, con un'espressione di stupore e angoscia: «Ucciso?»
«Sì, ucciso… sgozzato!»
«Il ragazzo è, come quindi sapete, il dottor Mustafà Rambaied, libanese di Beirut, e la ragazza è Emma, una ragazza italiana, di cui non so il cognome, che nel mese di aprile era venuta in vacanza da sola qui ad Atene.»
«Si sono conosciuti nel mio bar, in una sera di fine aprile; erano entrambi soli.»
«Il dottore lo avevo già servito più di una volta, quando usciva dall'ospedale: era piuttosto loquace e sorridente; mi parlava di Beirut, della sua famiglia, di sua moglie e dei figli.»
«Mi diceva che era venuto qui ad Atene in Clinica Pediatrica per seguire un corso di studi e frequenza di 12 mesi.»
«Era molto orgoglioso della sua figura di medico e felice di poter tornare a Beirut a terminare gli studi, per poi esercitare la professione di pediatra.»
«La ragazza, Emma, l'ho vista quella sera per la prima volta: una ragazza alta, dai capelli rossi, con occhi verdi, spigliata e sorridente.»
«Ordinò un aperitivo analcolico a base di frutta, accompagnato da acqua frizzante.»
«Sorseggiava il suo aperitivo e si guardava intorno: si vedeva che cercava compagnia.»
Ad un certo punto arriva Mustafà, anche lui solo. Si avvicina al bancone e mi chiede un panino imbottito, poi caffè e acqua frizzante.
Sono gli unici in piedi al bancone, a circa un metro di distanza, quando Emma, in italiano, dice: «Anche tu bevi acqua frizzante?»
Ma Mustafà non risponde perché non conosce la lingua italiana. A questo punto Emma rifà la domanda in inglese e lui risponde.
Non ho seguito tutto il resto del discorso, perché ero molto indaffarata; so soltanto che sono rimasti al bancone per oltre un'ora a conversare.
L'empatia è stata immediata: mentre servivo gli altri clienti, mi compiacevo di quanto soprattutto il giovane dottore fosse contento dell'incontro.
E poi Emma è una bella ragazza, del tutto diversa da noi. Con i suoi occhi verdi, il rosso morbido e dolce dei suoi lunghi capelli, era uno splendore.
E più trascorrevano i minuti, più mi accorgevo di quanto il ragazzo fosse coinvolto dalla ragazza.
Lui, poi, da perfetto gentiluomo, ha offerto la consumazione e sono andati via insieme.
Ricordo che lei gli stringeva la mano e questo comportamento mi colpì molto.
Satir fa fatica a tradurre, ma alla fine il resoconto è puntuale e preciso.
Dopo un minuto: «Da quella sera di fine aprile sono tornati ogni sera; si sedevano a un tavolino appartato, ordinavano da bere e anche qualche snack e rimanevano a parlare a lungo, guardandosi negli occhi.»
«Mustafà era completamente perso, ed Emma anche. Lui non aveva bisogno di nascondersi perché erano in pochi a conoscerlo.»
«Ero io che sapevo della situazione sentimentale e familiare di Mustafà, per cui, sera dopo sera, ero sempre più preoccupata per ciò che stava accadendo sotto i miei occhi.»
«Ma preferivo non dire niente.»
«Fino a quando, una sera — era trascorso già un mese circa, quindi eravamo a metà maggio — mi accorsi che Emma non sorrideva più, anzi aveva un aspetto sofferente, non ordinava nulla e sembrava avesse conati di vomito.»
«Una sera vomitò in un sacchetto di plastica che portava sempre con sé; mi avvicinai e dissi: "Signorina Emma, non sta bene? Ha bisogno di qualcosa?"»
Il suo viso chiaro, di carnagione nordica/normanna, divenne rosso e, mentre abbassava lo sguardo, con un filo di voce disse: «Sofia, sono incinta!»
E si alzò per andare in bagno.
Mustafà aveva un'espressione sconvolta e io non riuscii a mascherare né la mia meraviglia né la mia preoccupazione.
Lo guardai fisso negli occhi e dissi: «Ma lei lo sa?»
«No.»
«E che farai ora?»
«Voglio stare con Emma. Non voglio perderla.»
«E tua moglie? I tuoi figli?»