Lucio Palazzo
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Calcio

Le amare riflessioni di Lucio Palazzo sul momento critico del calcio biscegliese

Il giornalista, figlio dell'indimenticato presidente nerazzurro: «Questa storia è il soggetto perfetto per un film»

«Vediamo se ho capito. Il Bari Football Club fallisce. Il presidente del Bisceglie ha un'intuizione: cambia nome, colori delle maglie e sede e lo trasforma …nel Bari. A Bisceglie non c'è più una squadra di calcio. I tifosi che un anno fa hanno festeggiato in piazza la promozione in Lega Pro, restano con le bandiere in mano, utili semmai a tappezzare qualche divano vecchio. Un amico mi dice: "Tuo padre si starà rivoltando nella tomba". Sì, insieme al maestro Carlo Vanzina che si starà mangiando i gomiti disperato per non aver pensato prima lui ad una trama così».

Lucio Palazzo è un'eccellenza della biscegliesità. Giornalista e autore televisivo, il suo nome e la sua storia personale sono inevitabilmente legati al calcio biscegliese. Suo padre Lucio Palazzo (senior) è stato uno dei presidenti più amati dal popolo nerazzurro, l'uomo d'altri tempi per antonomasia.

«Da ragazzino non vedevo l'ora che mio padre uscisse di casa per andare con lui al Bar Numero 10 a sentire i grandi parlare di pallone. "Di dov'è Bettega? È di Torino! E Maldini? Di Milano… se non c'hai in squadra uno che è nato nella stessa città non vai da nessuna parte". E ancora: "Quando ero presidente era fondamentale avere in squadra qualcuno dei nostri. La gente se no al campo non ci va… vuoi mettere la soddisfazione di buttare dentro uno di sedici anni che viene dalla Berretti, no… E magari quel giorno fa pure gol" o anche "se tutte le squadre, a questi livelli, diventano delle aziende il calcio è finito". Furono in molti a passare dalla strada al campo di pallone.

Il legame fra la città e i giocatori era forte. Quando vendemmo Renzo Ferrante all'Avellino, in Serie A, nel 1978, tutti ci riscoprimmo un po' irpini nel cuore... Il pomeriggio della domenica si aspettava 90esimo minuto per vedere "cos'ha fatto oggi Renzo".

Mio padre era un presuntuoso, con la spocchia di chi non sopportava di essere contraddetto... è vero. Ma lui, Marino Monterisi, Pasquale Musci e tanti altri presidenti che c'hanno messo del proprio, una roba così non l'avrebbero mai fatta… La squadra è la città e la città è la squadra. Speriamo di poter dare con questo un contributo. Siamo ancora in tempo. (E comunque prendete appunti che sta storia è un soggetto perfetto… qua non si butta via niente)».
  • Nicola Canonico
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