
Attualità
La Cassazione riconosce il nesso tra uranio impoverito e tumori. Una prima vittoria nel ricordo di Antonio Acquaviva
Sentenza fondamentale per comprendere meglio cosa accadde su diversi teatri di operazioni belliche
Italia - lunedì 15 ottobre 2018
11.48
Farà giurisprudenza? È l'auspicio dei familiari del biscegliese Antonio Acquaviva e di altri componenti dell'Esercito deceduti o ammalatisi in questi anni.
La Corte di Cassazione ha riconosciuto «il nesso causale tra uranio impoverito e patologie tumorali e riconosciuta la "colpa" dell'Amministrazione della Difesa nell'aver ignorato i pericoli nell'esporre i nostri militari su teatri operativi in cui vi era stato l'utilizzo di munizionamento all'uranio impoverito» rigettando due motivi del ricorso avanzato dal ministero contro la decisione della Corte d'appello di Roma che aveva confermato la condanna in primo grado della Difesa per "condotta omissiva", non avendo protetto adeguatamente il caporalmaggiore sardo Salvatore Vacca, morto di leucemia l'8 settembre 1999 a 23 anni dopo aver partecipato a una missione in Bosnia-Erzegovina con la brigata "Sassari", nel novembre 1998.
Un pronunciamento fondamentale per poter meglio comprendere cosa accadde su diversi teatri delle "missioni di pace" in cui sono stati protagonisti migliaia di militari italiani fin dagli anni '90. Secondo quanto stimato sarebbero 361 i decessi e ben 7000 gli ammalati a seguito di spedizioni condotte in assenza di informazioni precise sui rischi per la salute dei soldati, a fronte degli equipaggiamenti monstre dei colleghi statunitensi, come minimo più prudenti e forse più consapevoli di quali fossero le condizioni delle aree in cui hanno prestato servizio.
L'esito dei lavori della quarta Commissione parlamentare d'inchiesta è un disegno di legge ripreso dall'attuale governo gialloverde e in particolare dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta che dovrebbe portare ad azioni concrete nei riguardi delle famiglie coinvolte.
Antonio Acquaviva, Brigadiere capo dei Carabinieri morto a 56 anni il 22 maggio del 2016 a causa di un cancro al pancreas, ha partecipato a due spedizioni in Kosovo (nel 1999 e nel 2003), una in Bosnia-Erzegovina, in Afghanistan, in Libano e in Iraq. In sua memoria e per quella di altri militari che hanno sacrificato le loro vite un paese civile farebbe bene a svelare, qualora ci fossero, omissioni e responsabilità, formulando esemplari punizioni.
La Corte di Cassazione ha riconosciuto «il nesso causale tra uranio impoverito e patologie tumorali e riconosciuta la "colpa" dell'Amministrazione della Difesa nell'aver ignorato i pericoli nell'esporre i nostri militari su teatri operativi in cui vi era stato l'utilizzo di munizionamento all'uranio impoverito» rigettando due motivi del ricorso avanzato dal ministero contro la decisione della Corte d'appello di Roma che aveva confermato la condanna in primo grado della Difesa per "condotta omissiva", non avendo protetto adeguatamente il caporalmaggiore sardo Salvatore Vacca, morto di leucemia l'8 settembre 1999 a 23 anni dopo aver partecipato a una missione in Bosnia-Erzegovina con la brigata "Sassari", nel novembre 1998.
Un pronunciamento fondamentale per poter meglio comprendere cosa accadde su diversi teatri delle "missioni di pace" in cui sono stati protagonisti migliaia di militari italiani fin dagli anni '90. Secondo quanto stimato sarebbero 361 i decessi e ben 7000 gli ammalati a seguito di spedizioni condotte in assenza di informazioni precise sui rischi per la salute dei soldati, a fronte degli equipaggiamenti monstre dei colleghi statunitensi, come minimo più prudenti e forse più consapevoli di quali fossero le condizioni delle aree in cui hanno prestato servizio.
L'esito dei lavori della quarta Commissione parlamentare d'inchiesta è un disegno di legge ripreso dall'attuale governo gialloverde e in particolare dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta che dovrebbe portare ad azioni concrete nei riguardi delle famiglie coinvolte.
Antonio Acquaviva, Brigadiere capo dei Carabinieri morto a 56 anni il 22 maggio del 2016 a causa di un cancro al pancreas, ha partecipato a due spedizioni in Kosovo (nel 1999 e nel 2003), una in Bosnia-Erzegovina, in Afghanistan, in Libano e in Iraq. In sua memoria e per quella di altri militari che hanno sacrificato le loro vite un paese civile farebbe bene a svelare, qualora ci fossero, omissioni e responsabilità, formulando esemplari punizioni.