
Attualità
Partenza Handala alla volta di Gaza: la riflessione di Amira Abuamra
Nuova missione per la Freedom Flotilla. «Ogni tentativo di forzare il blocco forza un altro blocco: quello della nostra coscienza. E questo è già un risultato»
Bisceglie - domenica 20 luglio 2025
10.30
Nella mattinata di domenica 20 luglio dal porto di Gallipoli è salpata alla volta di Gaza la "Handala", la nuova imbarcazione firmata Freedom Flotilla Coalition, con l'obiettivo di rompere il blocco navale israeliano, permettendo l'accesso di aiuti umanitari per il popolo palestinese.
«La partenza della Handala è un gesto fortissimo, simbolico e politico che non porta solo aiuti materiali, ma un messaggio: il mondo non è tutto complice né indifferente - ha osservato Amira Abuamra, artista e attivista palestinese che più volte ha incontrato la cittadinanza biscegliese nelle scuole e in eventi aperti al pubblico, di cui il più recente un laboratorio di ricamo tipico palestinese promosso da Arci e Amnesty International-. I possibili scenari, purtroppo, non sono semplici: potrebbe essere bloccata, sequestrata, ignorata dai media mainstream, come già accaduto in passato. Ma potrebbe anche aprire varchi: attirare attenzione, rompere il silenzio, creare mobilitazione internazionale, rimettere Gaza nell'agenda pubblica. Ogni tentativo di forzare il blocco – anche quando non arriva fisicamente a destinazione – forza un altro blocco: quello della nostra coscienza. E questo è già un risultato».
Abuamra si occupa di Palestina perché la sua storia parla di Palestina: è la storia della sua famiglia, ma è anche la storia di tante persone che sono state sradicate, dimenticate, condannate all'invisibilità: «Non lo faccio solo per "appartenenza", ma per un senso di responsabilità che non riesco a ignorare. Sono cresciuta con i racconti dell'esilio, della fuga, della perdita. E crescendo ho capito che non bastava "sentire il dolore", bisognava dargli una forma, una voce, uno spazio politico e culturale. La Palestina non è un trauma individuale, è una ferita collettiva che continua a sanguinare. Occupandomi di essa, provo a trasformare quel dolore in un atto di presenza, resistenza e costruzione».
E ancora oggi quella Palestina, in particolare Gaza, a cui Amira Abuamra attribuisce un valore inestimabile si trova a vivere una tragedia: «Gaza è un luogo che oggi vive tra macerie e miracoli. Le notizie che arrivano – quando arrivano – parlano di distruzione, fame, assenza di cure, ma anche di bambini che tornano a scrivere, di artisti che ancora disegnano sotto le tende, di madri che continuano a cantare ai figli. Sul piano umanitario, la situazione è catastrofica: mancano acqua potabile, cibo, medicine, e le organizzazioni internazionali spesso non riescono a entrare. Ma sul piano umano – e spirituale – non posso non vedere una forma di luce: la forza delle persone che restano lì, che si aggrappano alla vita anche quando il mondo le dimentica. Non parlerei di notizie positive o negative, ma di una resistenza che ha superato ogni logica di sopravvivenza: è diventata identità».
Essenziale l'attivazione dei civili, in qualunque misura e in qualunque forma: «Mobilitarsi non significa solo scendere in piazza, ma vuol dire educarsi, informarsi, sostenere economicamente realtà affidabili sul territorio, invitare artisti palestinesi, condividere storie, rifiutare il linguaggio disumanizzante, promuovere il boicottaggio etico. Resta fondamentale attivarsi perché quando i governi sono complici o paralizzati, tocca a noi. Perché l'ingiustizia si alimenta del silenzio e perché ogni voce che rompe l'indifferenza è un gesto politico».
«La partenza della Handala è un gesto fortissimo, simbolico e politico che non porta solo aiuti materiali, ma un messaggio: il mondo non è tutto complice né indifferente - ha osservato Amira Abuamra, artista e attivista palestinese che più volte ha incontrato la cittadinanza biscegliese nelle scuole e in eventi aperti al pubblico, di cui il più recente un laboratorio di ricamo tipico palestinese promosso da Arci e Amnesty International-. I possibili scenari, purtroppo, non sono semplici: potrebbe essere bloccata, sequestrata, ignorata dai media mainstream, come già accaduto in passato. Ma potrebbe anche aprire varchi: attirare attenzione, rompere il silenzio, creare mobilitazione internazionale, rimettere Gaza nell'agenda pubblica. Ogni tentativo di forzare il blocco – anche quando non arriva fisicamente a destinazione – forza un altro blocco: quello della nostra coscienza. E questo è già un risultato».
Abuamra si occupa di Palestina perché la sua storia parla di Palestina: è la storia della sua famiglia, ma è anche la storia di tante persone che sono state sradicate, dimenticate, condannate all'invisibilità: «Non lo faccio solo per "appartenenza", ma per un senso di responsabilità che non riesco a ignorare. Sono cresciuta con i racconti dell'esilio, della fuga, della perdita. E crescendo ho capito che non bastava "sentire il dolore", bisognava dargli una forma, una voce, uno spazio politico e culturale. La Palestina non è un trauma individuale, è una ferita collettiva che continua a sanguinare. Occupandomi di essa, provo a trasformare quel dolore in un atto di presenza, resistenza e costruzione».
E ancora oggi quella Palestina, in particolare Gaza, a cui Amira Abuamra attribuisce un valore inestimabile si trova a vivere una tragedia: «Gaza è un luogo che oggi vive tra macerie e miracoli. Le notizie che arrivano – quando arrivano – parlano di distruzione, fame, assenza di cure, ma anche di bambini che tornano a scrivere, di artisti che ancora disegnano sotto le tende, di madri che continuano a cantare ai figli. Sul piano umanitario, la situazione è catastrofica: mancano acqua potabile, cibo, medicine, e le organizzazioni internazionali spesso non riescono a entrare. Ma sul piano umano – e spirituale – non posso non vedere una forma di luce: la forza delle persone che restano lì, che si aggrappano alla vita anche quando il mondo le dimentica. Non parlerei di notizie positive o negative, ma di una resistenza che ha superato ogni logica di sopravvivenza: è diventata identità».
Essenziale l'attivazione dei civili, in qualunque misura e in qualunque forma: «Mobilitarsi non significa solo scendere in piazza, ma vuol dire educarsi, informarsi, sostenere economicamente realtà affidabili sul territorio, invitare artisti palestinesi, condividere storie, rifiutare il linguaggio disumanizzante, promuovere il boicottaggio etico. Resta fondamentale attivarsi perché quando i governi sono complici o paralizzati, tocca a noi. Perché l'ingiustizia si alimenta del silenzio e perché ogni voce che rompe l'indifferenza è un gesto politico».