Capo Apache
Capo Apache
Le parole di Sherazade

Nella riserva

Rubrica a cura di Liliana Salerno

Continuano i racconti della rubrica "Le parole di Sherazade", a cura di Liliana Salerno.
La storia, davvero stuzzicante, descrive le avventure dei protagonisti, rispettivamente un Lupo solitario e un'Alce bianca.
a cura di Luca Ferrante

Scese a valle lungo il fiume, Lupo solitario, portando "in spalla" molte pelli, sul dorso bruno!
La stagione della caccia continuava ancora, ma a lui non importava…
Voleva comprare il "bastone tuonante" dell'uomo bianco, ed essere, lui solo, il guerriero più grande della tribù.
Era giovane, e solo, e voleva comprare una moglie; con le pelli che aveva con sé, questa volta, Alce bianca, non avrebbe detto di no.
La conosceva da sempre, avevano le stesse lune, perché erano nati entrambi la stessa notte, in cui tutta la tribù era stata in festa.
Avevano cantato, e ballato, perché era stato firmato il Trattato di pace; l'uomo bianco aveva fumato col Grande Capo, Aquila Solitaria.
La nascita dei bambini, a tutti, era sembrata un segno del grande Manitù, in favore della sua gente, ma lo Stregone li aveva guardati e non aveva sorriso.
«Figli di schiavi» aveva detto: «coltiverete la terra con vergogna, in una Riserva, voi che avevate praterie sconfinate!», ed era andato via.
Lo Stregone era anziano: aveva visto uomini coraggiosi combattere valorosamente e morire, e cadere in guerra freddati dalle armi micidiali di un nemico imbattibile; ma era stato l'unico, in tutta la Tribù, a non volere la pace del Trattato.
Ormai non lo ascoltava più nessuno, da quando Volto di Luna, la figlia del Grande Capo, era stata guarita dall'uomo bianco, mentre lui non era mai riuscito.
La gente, ormai, non credeva più in lui, e le donne avevano pianto troppe lacrime per potergli dare ascolto.
Manitù, da tempo, era ostile ai pellerossa, e troppe guerre, troppi morti in suo nome… ora, poi, c'erano meno bisonti nella prateria, ed era più difficile trovarli: i migliori cacciatori tornavano a mani vuote, o con prede troppo giovani e piccole, insufficienti a sfamare la tribù e a superare il rigido inverno.
I bastoni di ferro tuonante ed il carro senza cavalli dell'uomo bianco, sbuffando nuvole di fumo, spaventavano le bestie che fuggivano lontano, costringendo gli indigeni alla fame.
I bambini piangevano nel buio, ma non Lupo solitario ed Alce Bianca, che furono più fortunati, perché nacquero nella notte di un grande giorno, in cui i falò non smisero mai di illuminare il buio, sfidando una rossa luna piena: la più rossa che gli anziani potessero ricordare.
E tutti erano felici, perché la guerra era finita; le asce erano sotterrate, e le donne inventavano danze nuove, piangendo per l'emozione di preparare il giaciglio su cui avrebbero riposato con i loro uomini, che non erano, invece così felici, bensì stanchi e con una ruga di scontento sui volti; con un'inquietudine segreta, da non rivelare alle squaws (?); si guardavano tra loro, rimandandosi la stessa domanda, osservando i confini assegnati, attenti a non sbagliare, per non infrangere il Contratto dell'uomo bianco.
Alle donne non importava del Confine: sapevano solo che la guerra era finita, che gli uomini avrebbero cancellato dal viso i tristi colori di guerra, avrebbero guardato con gioia i loro bambini, costruendo per loro balocchi di legno; le madri più anziane, che, da tempo, avevano disimparato a piangere i caduti, avevano occhi umidi di gioia, anche nella consapevolezza di aver perso la guerra… la guerra più lunga e terribile che la loro vita avesse mai conosciuto.
La guerra contro l'uomo bianco, contro carri di ferro con bocche tuonanti che uccidevano uomini e cavalli nello stesso modo, producendo più vittime di quante mai, nella storia, i pellerossa di tutte le tribù riunite, avrebbero potuto contare.
Così, stanchi, affamati, decimati da un conflitto inutile, i pellerossa avevano firmato il Trattato che li confinava, superstiti, nelle "Riserve" a loro assegnate.
Ma… mentre nella notte, ormai stanziati nella Riserva, danzavano a lungo per propiziare una pace triste, dalla tenda più lontana, tra grida strazianti di partorienti, risuonarono vagiti sicuri.
Erano entrambi figli di grandi guerrieri!
Lupo Solitario ed Alce Bianca crebbero insieme… come gli altri bambini impararono a coltivare la terra e ad intrecciare vimini per i visi pallidi che li acquistavano, ma lo Stregone non permise mai a Lupo Solitario di lustrare le scarpe ai vincitori, né ad Alce Bianca di porgere l'acqua alle signore in crinolina.
Altri bimbi, pellirossa, lo facevano, ma loro no!
L'anzianità ed il rispetto che avevano per lui glielo impedivano.
Lupo Solitario stava già diventando uomo, quando il vecchio, che gli aveva narrato le gesta dei Capi di tutte le Tribù, raccolse i suoi stracci per avviarsi verso la Montagna Sacra, per andare a morire, come tutti gli Stregoni, in solitudine e pace…
Lo seguì a distanza, per non turbare la sua concentrazione, ma il vecchio lo sentì, o ne avvertì la presenza, fiutò nell'aria il suo odore e lo chiamò per rimandarlo indietro.
La Montagna Sacra era ormai in territorio bianco… La terra degli avi, in cui, da sempre, Stregoni e Guerrieri avevano reso le spoglie mortali al Grande Manitù, non apparteneva più al popolo dei nativi.
Lupo Solitario tornò indietro… ma quella notte non riuscì a dormire.
All'alba del giorno seguente, oltre il confine, in territorio bianco, l'eco della Montagna Sacra condusse a valle il rumore secco di due colpi di fucile.
Lupo Solitario balzò in piedi, tendendo l'orecchio.
Tutt'intorno era solo silenzio.
Uscì dalla tenda e guardò la sua gente in viso: uomini e donne che aveva conosciuto da quando era nato… ma ogni volto era impassibile.
Nessuno pareva avere sentito.
Prendevano i loro attrezzi da lavoro e andavano via, verso i campi pietrosi, a capo chino.
Loro, un popolo di guerrieri e cacciatori… e lassù un vecchio inerme, armato di pochi stracci, desideroso di lasciarsi morire con la dignità che aveva sempre distinto il suo ruolo: freddato dalla violenza irragionevole, col ferro tuonante, per aver superato una linea, per aver raggiunto la terra dei padri…

Da quel giorno Lupo Solitario non sollevò più la sua vanga.
Non parlò più con nessuno.
Rimaneva a lungo sotto l'albero vicino al fiume.
L'unica cui era concesso stargli accanto era Alce Bianca, che lo accudiva, cercando di invogliarlo a riprendere il lavoro: ma quando la guardava in un certo modo stava zitta…
Tutti nella tribù la consideravano ormai la sua squaw, ma ogni volta che si avvicinava alla sua tenda, lei non gli permetteva di varcarne la soglia.
Per questo decise di compiere un'impresa che le dimostrasse il suo coraggio e la sua grandezza e che gli permettesse di avvicinarsi al padre di lei a mani piene di doni.
Erano tempi duri per tutti.
Le terre assegnate agli Indiani dall'uomo bianco erano aride.
Producevano pietre su pietre, e fame, carestia, mentre, a pochi metri, oltre il Confine…
Nella Riserva non c'erano bisonti, né cavalli…
Sulla Montagna si poteva comodamente cacciare per acconciare le pelli ed avere carne in abbondanza, senza dover vendere un magro raccolto… senza consegnare le ceste e le coperte, tessute dalle donne, all'antico nemico!
Bastava solo spostarsi oltre il Confine assegnato!
Alcuni lo facevano, ma per andare ad ubriacarsi di pessimo whiskey ed a ciondolare, inetti, per le strade della città bianca. Erano giovani che si colpivano tra loro bisticciando, ed, a volte, non tornavano affatto nella Riserva.
Né diversa era la sorte delle giovani squaw's che trovavano lavoro nei Saloon's: la fame, la miseria… - pensava Lupo Solitario, guardando Alce Bianca con il solito sguardo per cui lei ammutoliva, inciampava nei propri passi o lasciava cadere la cesta interrotta - .
Alce Bianca lavorava come una schiava, ma non lo era.
Anche lei, da bambina, aveva ascoltato i racconti del vecchio Stregone ed aveva ancora, negli orecchi, il respiro del Grande Spirito, Manitù, che vaga nella Prateria, quando la stagione di caccia è alle porte.
Conosceva il richiamo dell'alce, ed il suono del tamburo di guerra… a sera guardava affascinata la lancia del padre, vecchia come lui, ornata di molti scalpi, riposare in un angolo della tenda.
Era la lancia di un grande guerriero, che ora, in età avanzata, maneggiava la vanga con occhi chiusi, e spalle curve per la vergogna, lui, che in battaglia non aveva mai abbassato lo sguardo!
Alce Bianca non cercava un compagno, forse sapeva di averlo già, ma voleva un guerriero della sua gente: libero, coraggioso e forte, non un inetto o un contadino affamato!
Fu per questo che, quando vide Lupo solitario raccogliere la sua roba ed allontanarsi silenzioso verso la terra antica sentì un brivido correrle lungo la schiena, arrossì di tenerezza, ed, inconsapevolmente, sorrise.
Il suo uomo sarebbe tornato; ne era certa, perché un uomo bianco non è più abile di un pellerossa, ed il suo compagno - così pensava!- era il figlio di un nobile guerriero.
Sarebbe tornato.
Ed avrebbe sconfitto l'usurpatore per riportare la sua gente a vivere felice, là dove era nata, dove avevano vissuto i Padri, dove Manitù aveva voluto che cacciasse il pellerossa!

E difatti Lupo Solitario dopo molte lune tornò.
Scese a valle con molte pelli sulle spalle; e non era più lo stesso uomo.
Aveva con sé un cavallo pezzato, anch'esso carico di pellame, ed il viso dipinto di colori di guerra.
Reggeva una lancia variopinta di scalpi, tre dei quali erano biondi…
Era più scuro, e più uomo.
Alce Bianca contò i suoi trofei: sette!
Un buon numero, per un giovane guerriero!
Aveva dissotterrato l'ascia di suo padre per intraprendere la sua guerra personale contro l'antico nemico: l'uomo bianco.
Una contesa disperata e persa in partenza… la sola che gli consentisse l'ammirazione, il rispetto e l'amore della sua donna.
Rimase una sola notte nella Riserva, ed ebbe da lei un figlio che non vide mai, e di cui nessuno seppe mai il nome.
Lui, invece, divenne presto una leggenda per la gente del posto.
I bianche lo chiamarono bandito, e promisero una lauta ricompensa a chi fosse stato in grado di catturarlo: lo cercarono invano, molto a lungo, ma la sua lancia divenne, col tempo, più ricca e variopinta.
Uccideva soltanto uomini bianchi, lasciando dietro di sé l'orrido spettacolo che la tradizione della sua gente aveva tramandato.
Poi non se ne parlò più, e nessuno seppe mai cosa gli fosse accaduto.

Alce Bianca invecchiò nella Riserva, raccontando a suo figlio le gesta degli eroi, e di suo padre, che aveva reso l'anima, come i grandi Indiani d'America, sulla Montagna Sacra, come tutti i guerrieri della sua gente…


Nuovo appuntamento con "Le parole di Sherazade" di Liliana Salerno martedì 9 febbraio

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