Il vicepremier Luigi Di Maio a Bisceglie per la terza edizione di DigithON. <span>Foto Antonio Lopopolo</span>
Il vicepremier Luigi Di Maio a Bisceglie per la terza edizione di DigithON. Foto Antonio Lopopolo
Politica

Lo "sprovveduto di Giovinazzo", il tintinnio delle manette, la dignità a 5 Stelle e il "palcoscenico" della politica

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Francesco Toscano, consulente del lavoro e militante del Partito Democratico

Il fatto, per qualche giorno, ha conquistato la ribalta dell'informazione. Subito dopo è scivolato nell'oblio, precipitato nel subconscio collettivo di un'opinione pubblica sempre più distratta e superficiale.

Venerdì 2 marzo, nel salotto di Bruno Vespa, sempre benevolo ed accomodante coi potenti di turno, tronfio per la vittoria oramai certa, il capo del Movimento 5 Stelle annunciava solennemente l'istituzione del reddito di cittadinanza. Ogni disoccupato avrebbe percepito 780 euro mensili, che sarebbero raddoppiati in caso di figli a carico.

Martedì 6 marzo, a pochi chilometri da qui, in quel di Giovinazzo (ma pare che la scena si sia ripetuta in altre città della Puglia), decine di persone erano in fila davanti ai patronati per ottenere il reddito di cittadinanza. Qualche sera dopo, nell'usuale puntata radiofonica de "La zanzara", il conduttore-capo Giuseppe Cruciani, rispondendo alle perplessità di David Parenzo, affermava più o meno testualmente: «Dopo la campagna elettorale era normale, quasi inevitabile, che qualche sprovveduto si affacciasse a chiedere il sussidio».

Tipica di questa epoca, quella di Cruciani è una tanto banale quanto rozza semplificazione che non ci fornisce l'idea; non ci restituisce la cifra del progressivo imbarbarimento, del complessivo arretramento politico, ideale e culturale di questo Paese. Non si tratta di essere "sprovveduti". O, perlomeno, non solo di quello!

Quand'ero ragazzo (nel senso, proprio, di adolescente), nel mio paese d'origine (l'autore è nato e cresciuto in provincia di Reggio Calabria, ndr) si diceva che i militanti comunisti erano quasi tutti analfabeti, ignoranti, che avevano i "i paraocchi", che la pensavano tutti alla stessa maniera, che ripetevano pedissequamente quello che dicevano i loro capi. In un certo qual senso era vero. Quella era una generazione in parte nata ed in parte cresciuta, letteralmente a pani e cipudda, durante la guerra. A scuola ci andavano, e neppure tutti, li signurini, li figghi di li patruni, i figli dei possidenti terrieri, piccoli latifondisti. Una borghesia agraria avida e pavida che tentava di nobilitarsi diventando, al contempo, borghesia professionale.

E il venerdì prima delle scadenze elettorali, specie di quelle politiche, si sentiva qualcuno di quei cafoni dire: «Si lunedì vincimu nui, martedì ndi spartimu li terri di li patruni!» («Se lunedì vinceremo noi martedì ci spartiremo le terre dei padroni!»).
Ho sempre nutrito più di un dubbio che se avesse vinto il Pci quei poveri disgraziati si sarebbero realmente spartite le terre dei padroni. Di una cosa sono però oltremodo convinto: se i comunisti fossero andati al governo del Paese, la loro vita, seppur di poco, sarebbe cambiata. Sicuramente in meglio.

Ma, cosa intendevano, in fondo, quei braccianti analfabeti con quell'espressione? Senza aver mai letto neppure un parola del "Il Capitale", quasi istintivamente rivendicavano una cosa molto semplice: il possesso dei mezzi di produzione. O meglio, dell'unico mezzo di produzione allora esistente da quelle parti: la terra! Quei cafoni, però, erano ben consapevoli che se mai quella terra l'avessero ottenuta, su di essa avrebbero dovuto sudare, sacrificarsi, lavorare alacremente per poter spremere dalla stessa il minimo indispensabile per vivere una vita più o meno dignitosa. Ecco, i comunisti ignoranti del mio paese rivendicavano la terra per lavorare: lo sprovveduto di Giovinazzo, questo pseudo-proletario del nuovo millennio, pretende l'assegno a casa!

Rubando i versi allo scomparso (di recente) Claudio Lolli, ad otto mesi di distanza, caro sprovveduto di Giovinazzo, per anonimo che tu sia, «non so dire se mi fai più rabbia, pena, schifo o malinconia!».

Ti avevano promesso 780 euro mensili che si sarebbero raddoppiati in caso di figli a carico. Ora si scopre che gli euro saranno 780 a prescindere dalla prole da sfamare. Se hai avuto la sfortuna di ereditare un tugurio, i 780 euro ti saranno decurtati dell'importo del canone che avresti percepito concedendo in locazione quel medesimo tugurio. Dovrai passare otto ore alla settimana sotto i portici del Municipio della tua città. A far cosa, ancora non si è capito. Pena la perdita dell'obolo, non potrai rifiutare più di tre proposte di lavoro che, quasi certamente, ti offriranno i funzionari dei nuovissimi Centri per l'impiego (ex uffici di collocamento) che nel giro di soli due-tre mesi saranno appositamente ristrutturati secondo la concezione di quelli Made in Germany.

I polpastrelli delle tue dita non potranno avvertire la frescura della lega metallica delle monete; i tuoi occhi non potranno gustare le sfumature cromatiche verdognole della banconota da cinque euro, né quelle rosso-arancio della banconota da dieci. I soldi, se arriveranno, ti saranno direttamente accreditati su una carta elettronica, una sorta di "bancomat degli indigenti". La Casaleggio & Associati deve ancora decidere quale sarà il "Monte di Pietà" che ne curerà l'emissione. Gli acquisti dovrai farli esclusivamente in Italia. Perciò, caro sprovveduto di Giovinazzo, se pur possiedi uno smartphone da settecento euro, dimenticati di eBay, di Amazon e pure di Alibaba.

Le spese che farai dovranno essere tutte unte dal crisma della "moralità". Immagino che ti sarà severamente vietato l'acquisto di profilattici, in quanto spesa "immorale" per definizione. E per non farti cadere in tentazione ti viene pure evocato il soave tintinnìo delle manette: sei anni di galera se solo ti azzardi a pensare di approfittare, nella migliore delle ipotesi, di 780 euro! Così, il tuo mentore e protettore, ex steward del Napoli calcio nonché mancato dottore in giurisprudenza, dopo aver attribuito la dignità per decreto, dopo aver, sempre per decreto, "abolito" (parole sue!) la povertà in Italia, si diletta pure a riscrivere il Codice Penale!

Sul finire dell'estate, mi ha lasciato perplesso (ipocrita eufemismo) la circostanza che un dirigente nazionale del Pd, peraltro candidato alla segreteria, seppure nel contesto di un'iniziativa personale ed altamente meritoria come quella di premiare i giovani talenti della tecnologia digitale, forse dimentico che questi fabbricanti di illusioni con la loro insulsa propaganda hanno prosciugato, nel Mezzogiorno, in particolare in Puglia ed anche a Bisceglie, il bacino elettorale del nostro partito, abbia concesso loro la passerella, steso ai loro piedi un vero e proprio red carpet!

In questa fiera delle amenità, puntuale come la morte, è arrivata la nota del nostro primo cittadino che, compiaciuto, ha testualmente commentato: «Per un giorno Bisceglie è stata il palcoscenico della politica nazionale!» Già… il palcoscenico. Come se la politica fosse spettacolo, finzione, recitazione, rappresentazione, esibizione. A me Pepé, il compagno che mi ha "accompagnato" nel percorso di iniziazione all'impegno politico e i comunisti ignoranti ed analfabeti del mio paese, hanno insegnato che la politica è altro. Mi hanno insegnato che la politica è lotta, anche dura; è conflitto e mediazione, ma non compromesso. Mi hanno insegnato che la politica è sacrificio, impegno volontario e, perciò, assolutamente gratuito, è passione, progetto, costruzione del futuro, è servizio.

Dopo la mia adesione al Pci, avvenuta nell'età ormai adulta della consapevolezza, ricordo l'imbarazzo del neofita, quasi i sensi di colpa di chi, senza aver fatto nulla, si accosta alla tavola imbandita, con i quali ascoltavo qualche compagno anziano raccontarmi di quando, nel dopoguerra, nella Piana di Gioia Tauro, assieme ad altri braccianti, andava ad occupare le terre incolte sfidando, di volta in volta, il fuoco della polizia di Scelba e quello degli 'ndraghetisti al soldo dei latifondisti.

Non solo, dico e ribadisco non solo. Ma è anche attraverso quei "palcoscenici" che le nostre madri e i nostri padri ci hanno consegnato un Paese con insita la "dignità" di stato democratico. Questo, oltre che al nostro sindaco, qualcuno forse dovrebbe spiegarlo anche al mancato dottor Luigi Di Maio.
Ammesso che sia in grado di capirlo…
  • Partito Democratico
  • Francesco Boccia
  • Luigi Di Maio
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