La cultura portuale
L'influenza geopolitica del Nord Europa penalizza gli investimenti sulle zone economiche speciali del bacino Mediterraneo
Restano le osservazioni espresse quindi in precedenza su un programma di investimenti che concentra troppo le risorse nei porti di Genova e Trieste, con una distribuzione a pioggia di finanziamenti per gli altri porti, essenzialmente per elettrificazione delle banchine e azioni di efficientamento energetico. Insomma, emerge un disegno strategico implicito del sistema portuale nazionale sbilanciato è concentrato ancora una volta negli approdi al servizio del Nord Italia e dell'Europa Centrale.
Sul cold ironing va sottolineato che i costi di gestione per gli armatori rischiano di vanificare gli investimenti che saranno realizzati: ricordiamo che nei porti di Livorno e di Vado sono operativi due impianti di elettrificazione delle banchine, che però sono rimasti senza alcuna utilizzazione. Ovviamente esiste una ragione economica per questi due fallimenti. Quando le navi restano in banchina durante il giorno il costo dell'energia elettrica è tale da rendere assolutamente diseconomico il ricordo a tale tecnica.
Nei Paesi scandinavi, dove operano con successo le banchine elettrificate, i governi hanno messo mano al portafogli per ristorare i costi aggiuntivi che gli armatori debbono sostenere per il ricorso a questa tecnica. Alla base di un disegno strategico così lacunoso sul sistema portuale italiano esiste una carenza di visione geopolitica e geoeconomica. Per l'intera Unione Europea la partita dei prossimi due decenni si giocherà nel Mediterraneo: un quarto dei traffici marittimi mondiali transitano nel Mare Nostrum, all'interno del quale la Cina ha posizionato le due pedine strategiche di posizionamento nel porto del Pireo e nei porti del Nord-Africa. Dal punto di vista militare la Russia e la Turchia stanno progressivamente incrementando la propria sfera di influenza mediante il ricorso ad una presenza militare sempre più visibile, dalla Siria alla Libia. (1)
Alla luce degli investimenti predisposti dal Piano nazionale sul sistema porti, ci accorgiamo di come la scelta degli investimenti sulle zone portuali e sulle zone economiche speciali subisca una certa influenza geopolitica da parte dei Paesi del Nord Europa. Infatti, ciò che sottolinea Pietro Spirito è proprio come ci sia stato un maggiore e quasi unico investimento sui porti delle città di Genova e Trieste, piuttosto che sui porti meridionali, come può essere quello di Gioia Tauro. Ma questo non dipende solo da un atavico divario fra Nord e Sud Italia, che continua a rimanere nonostante i molti o pochi sforzi fatti negli anni.
Il sistema porti e gli investimenti nazionali sul tema ci permettono di inquadrare una interpretazione geopolitica e geoeconomica e le prossime strategie di mercato. Finanziare i porti di Genova e Trieste e far ricadere a pioggia gli altri investimenti significa fare gli interessi delle grandi multinazionali europee, ma non avere una visione d'insieme, una visione mediterranea della politica e dell'economia.
Così, mentre Paesi come la Cina, la Russia e la Turchia investono nel Mediterraneo, ecco che l'Europa preferisce rimanere in una condizione geografica settentrionale, poco attenta agli investimenti del Sud Italia e di tutto il bacino mediterraneo. Tutto questo non ci spinge solo a riflettere sul come vengano impegnati i soldi del Recovery Fund, ma anche a spingere la prospettiva di ripresa culturale, anche oltre gli interessi economici. Infatti, la simbolica dei porti, come abbiamo già affermato in precedenza, è la simbolica dell'apertura verso il diverso, verso ciò che non siamo noi e che incontriamo.
Il porto è sempre stato la dinamo per l'incontro. Ora, al di là della poetica, l'apertura non è solo una questione di mercato, di privatizzazione degli interessi commerciali, ma anche di scambio e, in primis, scambio culturale. Mentre, dunque, il Pnrr sembra propendere verso investimenti in grado di favorire alcuni settori, alcuni sistemi, alcune multinazionali del mare, il valore simbolico del porto sembra perdere quota, favorendo il commercio piuttosto che la conoscenza, il mercato piuttosto che l'esperienza. Una compromissione che ci potrà, forse, risollevare economicamente dopo la pandemia, ma dubito culturalmente. Perché è la cultura che ci fa vivere meglio, ancor prima dell'economia.
1 - P. Spirito, I porti italiani nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, newsletter INU dell'8 maggio 2021 (link)