Un pediatra sul web
Cronache dallo Scap
Rubrica di pediatria a cura del dottor Antonio Marzano - pediatra di famiglia
domenica 14 giugno 2020
9.38
La mia collaboratrice si presenta con una domanda ad alta voce: «È lei il dottor Marzano?»
«Certo» le rispondo. Ci allunghiamo per il gomito e ci presentiamo nel modo giusto che bisogna rispettare.
«Piacere, sono Angela, l'infermiera di turno con lei questa mattina».
Le cose sono cambiate qui allo Scap. Dopo i circa due mesi di chiusura in ambulatorio per sei ore in assoluta solitudine, ecco che si riaffaccia la collaboratrice. Trascorreremo insieme queste sei ore di turno, dalle 8 alle 14. Siamo sempre ospiti nell'ambulatorio di cardiologia nel padiglione dove si trovano il Cup e il centro vaccinazioni. Arrivano le voci dei colleghi della guardia medica e del 118. La macchina dell'assistenza sanitaria Covid e non-Covid è sempre attiva, 24 ore su 24.
Indossiamo il camice monouso, la mascherina e i guanti. È una bella giornata di sole, il cielo è terso, e con la finestra aperta ho la possibilità di osservare passanti, famiglie e auto che si recano in spiaggia. È come se piano piano la "vita normale" provasse a cercare di prevalere su quella virtuale, eppure fa fatica.
Lo leggo nei gesti e nelle parole di Angela, nei tratti dei giovani colleghi della Guardia Medica, nel vociare forte della nutrita compagnia del 118. Si fa fatica a venirne fuori, perché aldilà di tutto questo, ciò che sento è il silenzio della presenza, il vuoto dell'attesa: un profondo cruccio del nulla.
E allora la collaboratrice inizia a parlarmi del suo di lavoro, del servizio che svolge nel reparto di malattie infettive e dell'esperienza che ha vissuto in questi mesi. Angela, senza nessuna enfasi, parla dell'assistenza ai pazienti Covid, di una presenza costante, silenziosa e anonima al cospetto di queste persone anziane ma anche giovani, del dolore della perdita e della paura di ammalarsi. E del terrore di portare a casa, in famiglia, la malattia e l'infezione. Fino a subire crisi di panico tali da costringere a un supporto continuo.
Ascolto rapito tutto questo e confesso che almeno io in veste di pediatria di famiglia sono stato solo uno spettatore attraverso i media e che tranne qualche manifestazione cutanea nei bambini non ho visto nulla. E mentre trascorrono i minuti e poi le ore e il telefono continua il suo mutismo totale, mi chiedo se questa nostra figura non solo di pediatra dello Scap ma anche di pediatra di famiglia non vada rivista.
Ho l'impressione che non sia più solo la paura ma la prudenza degli accessi in studio e allo Scap dipenda dal fatto che tutti - sottolineo tutti - e qui penso alle famiglie, ai genitori, abbiamo inteso che le priorità per rivolgersi al medico siano altre e ben più importanti e indifferibili. Ora non so se a conferma di tutto questo ragionamento, dopo una telefonata di triage, viene in visita una bambina grandicella accompagnata dalla madre, la quale presenta un vasto eritema che parte dal bacino e interessa tutte le gambe. E il tutto si accompagna ai segni specifici dell'infiammazione: tumor, calor e dolor. La bambina è preoccupata, la mamma anche, io riprendo il mio ruolo di medico e le spiego che è solo una vasta impetigine, partita dalle punture delle già presenti zanzare.
«Ah! Come lo scorso anno...» risponde la mamma. «Lei è atopica come me». Dopo qualche altra domanda per ottenere ulteriori chiarimenti e fornire altri consigli ci salutiamo con la terapia topica che l'attenta madre già conosce.
È stata l'unica visita al servizio Scap della mattinata. Non so se il trascorrere dei mesi, la metabolizzazione della paura riporteranno in visita decine di bambini come fino a febbraio scorso. O se magari al servizio Scap si rivolgeranno casi come quell'unico, che nonostante non fosse grave pur tuttavia si è presentato improvvisamente ed è stato degno di visita. O magari al ritorno dell'autunno, alla riapertura delle scuole, al riaffacciarsi dei virus e dei microbi, torneranno numerosi i bambini sia in studio che allo Scap. Io e tutti i colleghi pediatri di famiglia ci faremo trovare pronti, forti e preparati. Continuerò il mio servizio verso le famiglie e i bambini, per dare quanto più possibile certezze, rassicurazioni, garantendo visite e cure. Per il resto... Forza e onore!
«Certo» le rispondo. Ci allunghiamo per il gomito e ci presentiamo nel modo giusto che bisogna rispettare.
«Piacere, sono Angela, l'infermiera di turno con lei questa mattina».
Le cose sono cambiate qui allo Scap. Dopo i circa due mesi di chiusura in ambulatorio per sei ore in assoluta solitudine, ecco che si riaffaccia la collaboratrice. Trascorreremo insieme queste sei ore di turno, dalle 8 alle 14. Siamo sempre ospiti nell'ambulatorio di cardiologia nel padiglione dove si trovano il Cup e il centro vaccinazioni. Arrivano le voci dei colleghi della guardia medica e del 118. La macchina dell'assistenza sanitaria Covid e non-Covid è sempre attiva, 24 ore su 24.
Indossiamo il camice monouso, la mascherina e i guanti. È una bella giornata di sole, il cielo è terso, e con la finestra aperta ho la possibilità di osservare passanti, famiglie e auto che si recano in spiaggia. È come se piano piano la "vita normale" provasse a cercare di prevalere su quella virtuale, eppure fa fatica.
Lo leggo nei gesti e nelle parole di Angela, nei tratti dei giovani colleghi della Guardia Medica, nel vociare forte della nutrita compagnia del 118. Si fa fatica a venirne fuori, perché aldilà di tutto questo, ciò che sento è il silenzio della presenza, il vuoto dell'attesa: un profondo cruccio del nulla.
E allora la collaboratrice inizia a parlarmi del suo di lavoro, del servizio che svolge nel reparto di malattie infettive e dell'esperienza che ha vissuto in questi mesi. Angela, senza nessuna enfasi, parla dell'assistenza ai pazienti Covid, di una presenza costante, silenziosa e anonima al cospetto di queste persone anziane ma anche giovani, del dolore della perdita e della paura di ammalarsi. E del terrore di portare a casa, in famiglia, la malattia e l'infezione. Fino a subire crisi di panico tali da costringere a un supporto continuo.
Ascolto rapito tutto questo e confesso che almeno io in veste di pediatria di famiglia sono stato solo uno spettatore attraverso i media e che tranne qualche manifestazione cutanea nei bambini non ho visto nulla. E mentre trascorrono i minuti e poi le ore e il telefono continua il suo mutismo totale, mi chiedo se questa nostra figura non solo di pediatra dello Scap ma anche di pediatra di famiglia non vada rivista.
Ho l'impressione che non sia più solo la paura ma la prudenza degli accessi in studio e allo Scap dipenda dal fatto che tutti - sottolineo tutti - e qui penso alle famiglie, ai genitori, abbiamo inteso che le priorità per rivolgersi al medico siano altre e ben più importanti e indifferibili. Ora non so se a conferma di tutto questo ragionamento, dopo una telefonata di triage, viene in visita una bambina grandicella accompagnata dalla madre, la quale presenta un vasto eritema che parte dal bacino e interessa tutte le gambe. E il tutto si accompagna ai segni specifici dell'infiammazione: tumor, calor e dolor. La bambina è preoccupata, la mamma anche, io riprendo il mio ruolo di medico e le spiego che è solo una vasta impetigine, partita dalle punture delle già presenti zanzare.
«Ah! Come lo scorso anno...» risponde la mamma. «Lei è atopica come me». Dopo qualche altra domanda per ottenere ulteriori chiarimenti e fornire altri consigli ci salutiamo con la terapia topica che l'attenta madre già conosce.
È stata l'unica visita al servizio Scap della mattinata. Non so se il trascorrere dei mesi, la metabolizzazione della paura riporteranno in visita decine di bambini come fino a febbraio scorso. O se magari al servizio Scap si rivolgeranno casi come quell'unico, che nonostante non fosse grave pur tuttavia si è presentato improvvisamente ed è stato degno di visita. O magari al ritorno dell'autunno, alla riapertura delle scuole, al riaffacciarsi dei virus e dei microbi, torneranno numerosi i bambini sia in studio che allo Scap. Io e tutti i colleghi pediatri di famiglia ci faremo trovare pronti, forti e preparati. Continuerò il mio servizio verso le famiglie e i bambini, per dare quanto più possibile certezze, rassicurazioni, garantendo visite e cure. Per il resto... Forza e onore!