piastrinopenia
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Un pediatra sul web

Ha urtato... non è niente!

Rubrica a cura del dottor Antonio Marzano - Ex pediatra di famiglia

Nel dicembre del 1987, Franca era una bambina di tredici mesi che aveva iniziato da qualche settimana a mettere i primi passi senza appoggio.


E come tutti i bambini sfuggiva all'attenzione della madre, avventurandosi nel corridoio di casa senza nessun controllo, cadendo rovinosamente sul pavimento e procurandosi spesso escoriazioni e piccoli ematomi.

La mamma mi chiamava senza ansia solo dopo "una botta alla testa" ma per tutti i traumi su tutte le altre parti del corpo, non mi metteva al corrente.

Sono trascorsi molti anni e l'attenzione dei genitori nei riguardi della salute dei figli è molto cambiata, tanto che come ben sanno ormai tutti, è sufficiente uno starnuto, per consultare il pediatra.


Per cui quando quel pomeriggio Franca varcò la soglia della sala visite, sotto lo sguardo attento ma non ansioso della madre, mi rallegrai molto e mi rivolsi a lei esclamando: «Franca ciao come stai? Sei venuta da sola?»


E lì, subito dopo, vidi il viso della mamma sorridente mentre io continuavo a porgere alla bambina domande senza senso.

Fino a quando: «Dottore, lo sapete mia figlia è molto vivace e va sempre cadendo in casa. E sta sempre piena di botte e di scarole. Sono venuta solo perché questa volta, questa botta anche se piccola: vedete... vedete... che si è fatta una settimana fa non riesce, a differenza di tutte le altre volte, a passare. Vedete, sta qui, sulla gamba, non è aumentata ma non è neanche diminuita».

E mentre mi racconta questa storia, prende di peso Francala posa sul lettino affinché io possa confermarle ciò che lei mi ha detto.

«Beh - dico io - mi sembra che questa volta a terra sul pavimento c'era un giocattolino e lei ci è caduta sopra nel tentativo di prenderlo».
«E sì - dice la madre -, sul pavimento di mattoni è pieno di giocattoli».
«Bene stai attenta dico. Non è niente».

Dopo due giorni si riaffaccia in studio con la bambina e questa volta la mamma con una espressione più preoccupata mi fa: «Dottore, ne è uscita un'altra».

«Vediamo» dico.

Effettivamente, a distanza di pochi centimetri c'era un altro piccolo ematoma.

«Hai bonificato il pavimento? Hai rimosso tutti i giocattoli?»
«Si - mi risponde -, ma da l'altro giorno non è caduta».

A questo punto mi viene un pensiero: «Uuo figlio grande lo lasci da solo con la sorellina?»
«In che senso?» mi dice.
«Magari per gelosia le da dei pizzichi».
«Che è geloso è geloso, ma non ho notato niente».
«Stai attenta. Tieni sotto controllo Giovannino e vediamo come va».

La signora Mariapia va via, ma non è convinta. «Fammi sapere».

Dopo 24 ore Mariapia ritorna e senza proferire parola poggia la figlia sul lettino. La piccola sembra tranquilla ma poi ho capito che è la tranquillità di un lattante sofferente. In un attimo Franca è nuda e le gambe e le braccia sono quasi del tutto coperte da piccoli e medi ematomi.

«Mariapia - le dico -, purtroppo questa è una piastrinopenia acuta».

La mamma non lo capisce subito. Provo a spiegarlo: le dico che anche se non è una patologia grave è necessario un ricovero ospedaliero. È necessario fare un emocromo ed una conta piastrinica perché saranno sicuramente basse. Le spiego qual e il ruolo delle piastrine nel sangue e nel mentre con la terapia bisogna farle risalire, capire quale sia l'agente che le sta distruggendo se infettivo o altro, o se sono gli stessi anticorpi della bambina a non riconoscere più come self le piastrine e ad attaccarle perché le percepiscono come non self. Una forma autoimmune.

Ma la signora Mariapia non mi segue, e ne ha ben donde, per cui le scrivo una base di ricovero e va in ospedale.

Siamo nel 1987 e poi nel 1988. La piastrinopenia di Franca viene confermatale terapie si susseguono negli anni con alti e bassi. La bambina diventa grandicella, ma senza a volte un apparente motivo si ripresentano gli ematomi. Franca si sottopone ad ogni tipo di terapia man mano che gli anni e quegli anni ottanta trascorrono, ma sul suo capo pende sempre una spada di Damocle che di tanto in tanto le cade in testa facendola sprofondare nello sconforto. I ricoveri di susseguono e cosi i prelievi per la conta delle piastrine. Franca ha le braccia piene di buchi.

Fino a quando una mattina, e sono trascorsi anni, arriva in studio accompagnata dalla madre ed in lacrime mi fa: «Dottore non ce la faccio più, si veramente non ce la faccio più. Cosi non posso vivere. Aiutami!»

Prendo il telefono e chiamo l'ematologo pediatra che aveva in cura Franca. «Ciao - gli dico -, senti credo che sia arrivato il momento di passare mano. Tu hai fatto tutto e di tutto e di più ma la ragazzina non sta bene: è arrivato il momento di porgere la ragazza al chirurgo».

«Sì - mi risponde -, purtroppo le piastrine calano cosi all'improvviso e la ragazza cade in uno sconforto totale. La terapia medica non porta ai risultati che speravamo. Me la vedo io».

Trascorrono pochi giorni quando la mamma mi chiama in studio e con voce tremante mi fa: «Dottore, ora la portano in sala operatoria».
«Stai serena. L' intervento nelle mani esperte del chirurgo è molto semplice e poi di certo ti hanno spiegato che quando non si riesce a risolvere il problema della piastrinopenia con la terapia medica, si ricorre alla splenectomia, cioè si rimuove l'organo che senza colpa distrugge le piastrine».
«Sì, mi hanno spiegato tutto e mi hanno rassicurato che si può vivere senza milza».

Franca poi si è fidanzata, si è sposata, ha avuto tre splendidi figli, due maschietti e una femminuccia, e ancora oggi quando la vedo in giro con la sua famiglia, provo una impercettibile soddisfazione.

Sua madre, la nonna, quando la incontro in mezzo alla villa con i nipoti, non ha bisogno né di salutarmi né di fare un cenno del capo: mi sorride ed io le rispondo con un sorriso.
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Rubrica di pediatria a cura del dottor Antonio Marzano - pediatra di famiglia

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