trauma cranico
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Un pediatra sul web

Una notizia terribile per cuori forti

Rubrica a cura del dottor Antonio Marzano - Ex pediatra di famiglia

Era una mattina come tutte le altre, quando squillò il cellulare. Di insolito c'era solo che era piuttosto presto: le sei.

Ho sempre avuto l'abitudine di svegliarmi presto al mattino, una abitudine maturata durante gli anni del liceo e poi dell'università, cui non ho mai derogato e che ho continuato a mantenere durante gli anni della professione. Pur tuttavia era piuttosto presto, per cui la scarica di adrenalina fu severa e lo fu ancora di più quando lessi sul display il nome e cognome della persona che mi stava chiamando. Mi presi 5 secondi, mi schiarii la voce e premetti il pulsante della risposta.


«Pronto?»
«Pronto dottore sono il signor Barsenti, il padre di Clara»
«Mi dica. Che è successo?»
«Dottore è successa una cosa terribile»
«Cioè?» dissi.
«Ieri sera, mentre Clara giocava in casa con la cuginetta, ha urtato involontariamente, con tutto il corpo, la credenza su cui era appoggiato il vecchio televisore, che io purtroppo conservavo in soggiorno, come ricordo dei miei genitori ed è caduto rovinosamente sulla testa della bambina»
«E allora?» chiedo.
«La testa di Clara si è spaccata! Sì, dottore spaccata dal vertice, tanto che ho dovuto prima tenere ferme con le mie mani, la porzione anteriore con la porzione posteriore del cranio e dopo nonostante il sangue che mi bagnava le mani ho preso uno strofinaccio e passandolo sotto la mandibola, sono riuscito a tenere le due porzioni della teca cranica unite e ho portato mia figlia in ospedale»
«E la bambina?»
«La bambina prima ha pianto disperata, per il dolore, ma poi una volta in macchina si è addormentata»
«Da circa due ore, dopo essere stata medicata in pronto soccorso è stata trasferita in chirurgia e subito dopo con una fasciatura provvisoria è stata portata in radiologia dove si trova ancora adesso. Dottore ho visto il cervello di mia figlia!»
«Forza, forza - gli dico -, forza, sei stato forte e deciso. Forza. Piu tardi chiamo il collega radiologo»
«Sì, dottore, per favore chiami lei. Ora mi sento male, spero non mi venga un collasso e mia moglie urla disperata»

Chiudo la comunicazione e corro a lavarmi e vestirmi e mentre mando giù un biscotto con una grossa tazza di caffè bollente, mia moglie Anna mi guarda stranita. Le racconto dell'incidente e lei, senza fare commenti, si prepara per andare a scuola.

E per una ennesima volta, lei si è ritrovata a sentire delle mie storie. Sia in diretta sia soprattutto quelle raccontate da me. E lei con la santa pazienza ad ascoltare, senza commentare.

Ho da sempre avuto il bisogno di parlare con lei. Ho sempre avuto bisogno di condividere con lei. E lei mi ha ascoltato per 38 anni di studio e continua a farlo.

A questo punto, prima di andare in studio, chiamo l'amico e collega radiologo al cellulare, nella speranza che mi risponda.
Al quarto squillo risponde;
«Danilo?»
«Sì, Antonio, sono di guardia. Le ho fatto la radiografia e poi la tac e poi la risonanza».
E allora gli chiedo.
«Anto' non ho mai visto una cosa del genere. E sì che di traumi cranici da incidenti stradali ne ho visti, ma una testa spaccata di netto cosi. Mai!»
«E la bambina?»
«Lei dorme. Non so se sia in coma, ma dorme. Ora la trasferiscono alla neurochirurgia di Andria»
«Ma secondo te?»
«Non voglio dire niente. Uno spettacolo terribile! Ora smonto. Ho bisogno di aria!»
«Grazie Danilo. Ciao»

Lavoro ingrato quello del radiologo.
Non che quello degli altri specialisti sia tanto grato. E sì ... ma quello del medico, è un lavoro grato? Non è il momento di questo insulso filosofeggiare!

Beh, vado allo studio. Tempo un'ora il padre di Clara mi chiama al telefono. Con la voce rotta dal dolore mi chiede: «Dottore e allora?»
«Sì, ho parlato con il radiologo. Lui mi ha detto che nonostante la gravità del trauma, almeno fino a quel momento segni di compromissione encefalica non ne ha trovati. Il versamento ematico è quello che proviene dalla frattura, ma ematomi intracerebrali non ne ha visti, né emorragie cerebrali. E ora dove state?»
«Siamo appena arrivati alla Neurochirurgia di Andria. Ed anche qui nessuno dice niente. Nessuno»
«E Clara?»
«Clara dorme. Mi hanno solo detto che ora le indurranno un coma farmacologico»

Faccio le visite in studio. Poi verso le dodici chiamo il centralino, mi faccio passare la Neurochirurgia e la collega mi risponde.
«Marzano, per il momento Clara è in coma farmacologico. Il primario ha medicato e fasciato stretto il cranio. È sotto copertura antibiotica, ma neanche lui si è espresso. Neanche lui! Grazie collega e buon lavoro»


Per tutti evidentemente è la prima volta che si ritrovano un caso clinico così particolare.
Torno a casa e inizio a riflettere su questa storia, non solo sulla terribile fatalità dell'incidente, ma soprattutto sulla risposta clinica di Clara: dorme, dorme!

La commozione cerebrale traumatica, rifletto, produce di certo una perdita di conoscenza (dorme). Di certo il rischio di infezioni encefaliche, meningee e cutanee è elevatissimo, ma Clara è stata trattata subito con antibiotici ad alte dosi e allora? E allora il sonno senza risveglio e poi il sonno farmacologico è una scelta non solo corretta, ma opportuna perché le conseguenze drammatiche di un trauma cranico sono dovute agli ematomi intracerebrali o sub meningei. Ma nel caso di Clara il sangue è andato fuori dalla scatola cranica aperta e non dentro, tanto che il radiologo non ha visto niente. L' encefalo si traumatizzato, ma potrebbe non aver sofferto molto perché non era compresso dalla scatola cranica. Ma erano tutte supposizioni... a fin di bene. Non avevo nessuna base scientifica, né una esperienza pregressa, per cui...

Dopo due giorni il signor Barsenti mi chiama e mi dice che Clara è stata trasferita alla Rianimazione di San Giovanni Rotondo. Il primario neurochirurgo ha deciso cosi con il consenso del rianimatore.

«Bene – dico –. Ma come sta?»
«Non lo so dottore, non lo so io e non lo sanno i dottori. Clara dorme, dorme sempre e viene alimentata endovena»

Trascorrono i giorni con il quotidiano aggiornamento del padre.


Quando una sera finito lo studio decido di andare a San Giovanni Rotondo. È lì in un lettino attaccata a tubi, monitorata nella respirazione, nel battito cardiaco, nella saturazione di ossigeno, nella temperatura corporea ed alimentata endovena vedo Clara. Ha la testa completamente fasciata. Affiorano gli occhi chiusi, il naso e la bocca semi aperta.

«Dottore - mi dice la mamma -, Clara dorme e sembra non si voglia più svegliare»
Non riesco a dire niente anche perché l'infermiera in servizio, nonostante io mi qualifichi, evita di rispondermi.
«Dottore - mi fa la mamma -, non dicono niente perché non sanno niente e perché non possono e non devono fare niente»

Il viaggio di ritorno è penoso. Non posso fare niente, non posso dire niente. Cerco di arginare il mio coinvolgimento emotivo, ma non ci riesco, anche perché il padre mi chiama ogni mattina ed io ho il dovere di ascoltare quest'uomo che percepisce anche la sua responsabilità, per aver lasciato li in soggiorno, in bella vista quel televisore.

Trascorrono due settimane quando durante le quali il flusso di notizie si ferma. Quando in un pomeriggio come gli altri, si apre la porta della sala visite in studio e mi ritrovo Clara in studio con il suo sorriso smagliante, il suo parlare sciolto e frizzante ed una espressione serena e dolcissima.

«Clara... Clara, come stai?»
La mamma le è vicino, si siedono di fronte a me ed io timidamente dico: «Clara ma come ti senti?»
«Bene - mi risponde -. Ma perché dottore?»
«Come perché?! Ma sai quello che ti è successo?»
«No – risponde-, perché cosa mi è successo?»
A questo punto interviene la madre: «Dottore, cinque giorni fa Clara si è svegliata e ha detto: "mamma perché sono qui in ospedale?" Clara non ricorda nulla, nulla»

Clara si alza, gira intorno alla scrivania, mi abbraccia e mi stampa un bacio sulla guancia regalandomi con un sorriso tenerissimo.
«Ringrazia Padre Pio - dico alla mamma -: è un miracolo!»
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