
Viaggio nell'Infinita Bellezza
La scrittura è la mia memoria di scorta
Rubrica di musica classica a cura di Antonio Marzano
giovedì 14 agosto 2025
9.33
La scrittura è la mia memoria di scorta.
Troppo importante questa frase per non riportarla come oggetto del racconto.
Avrei potuto sceglierne un'altra – Figli di un Dio minore – ma ho preferito la prima, che per me rende in modo perfetto il senso della mia osservazione.
In un'altra occasione, lo scrittore e giornalista Vladimiro Bottone, a cui confidavo la mia convinzione che fosse necessario scrivere affinché rimanesse "qualcosa di noi" per gli altri dopo l'oblio, mi rispose: «Dottore, noi quasi sempre scriviamo per noi stessi, piuttosto che per gli altri».
Non potei che dargli ragione: per chi scrive, al di là della condivisione del proprio lavoro, del peso che può esercitare sul lettore, della profondità con cui riesce a scavare nell'animo umano, il risultato più importante è racchiuso proprio in quella frase: noi scriviamo per noi stessi.
Perché dentro nasce qualcosa di indefinibile, di sano, di puro, che trova la sua finalità nella scrittura. E dopo la rilettura, se arriva un sentimento di appagamento e di pace interiore, allora significa che è proprio vero: noi scriviamo per noi stessi e non per gli altri.
In un incantevole pomeriggio di agosto – precisamente il 9 – presso il Monastero di Colonna a Trani, quattro pianisti, Paolo Scalfarella, Serena Valluzzi, Leonardo Colafelice e Cristina Di Lecce, hanno tenuto un brillante concerto per pianoforte a otto mani.
Il repertorio era composto da trascrizioni per pianoforte tratte da opere liriche e balletti.
Esecuzioni perfette e avvincenti che, in quell'angolo incantato del mondo di fronte alla maestosità del mare, hanno suscitato negli spettatori un sentimento di profonda commozione.
Il resto del mondo era lontano, lontanissimo. Noi, risparmiati dall'orgia di una moltitudine di rumorose e straripanti offerte di divertimento, eravamo lì, all'ombra dell'antico monastero, in perfetta solitudine condivisa con non più di un centinaio di persone, ad ascoltare – attraverso le sapienti mani dei pianisti – gli eterni vati della musica classica: Mozart, Verdi, Grieg e altri.
Forse non siamo più Figli di un Dio minore. Forse… Non ne sono del tutto certo.
Perché, una volta raggiunta l'auto, quando il cielo si era ormai fatto buio, siamo stati trafitti – per fortuna da lontano – dal suono megafonato di un urlatore di rap moderno.
Troppo importante questa frase per non riportarla come oggetto del racconto.
Avrei potuto sceglierne un'altra – Figli di un Dio minore – ma ho preferito la prima, che per me rende in modo perfetto il senso della mia osservazione.
In un'altra occasione, lo scrittore e giornalista Vladimiro Bottone, a cui confidavo la mia convinzione che fosse necessario scrivere affinché rimanesse "qualcosa di noi" per gli altri dopo l'oblio, mi rispose: «Dottore, noi quasi sempre scriviamo per noi stessi, piuttosto che per gli altri».
Non potei che dargli ragione: per chi scrive, al di là della condivisione del proprio lavoro, del peso che può esercitare sul lettore, della profondità con cui riesce a scavare nell'animo umano, il risultato più importante è racchiuso proprio in quella frase: noi scriviamo per noi stessi.
Perché dentro nasce qualcosa di indefinibile, di sano, di puro, che trova la sua finalità nella scrittura. E dopo la rilettura, se arriva un sentimento di appagamento e di pace interiore, allora significa che è proprio vero: noi scriviamo per noi stessi e non per gli altri.
In un incantevole pomeriggio di agosto – precisamente il 9 – presso il Monastero di Colonna a Trani, quattro pianisti, Paolo Scalfarella, Serena Valluzzi, Leonardo Colafelice e Cristina Di Lecce, hanno tenuto un brillante concerto per pianoforte a otto mani.
Il repertorio era composto da trascrizioni per pianoforte tratte da opere liriche e balletti.
Esecuzioni perfette e avvincenti che, in quell'angolo incantato del mondo di fronte alla maestosità del mare, hanno suscitato negli spettatori un sentimento di profonda commozione.
Il resto del mondo era lontano, lontanissimo. Noi, risparmiati dall'orgia di una moltitudine di rumorose e straripanti offerte di divertimento, eravamo lì, all'ombra dell'antico monastero, in perfetta solitudine condivisa con non più di un centinaio di persone, ad ascoltare – attraverso le sapienti mani dei pianisti – gli eterni vati della musica classica: Mozart, Verdi, Grieg e altri.
Forse non siamo più Figli di un Dio minore. Forse… Non ne sono del tutto certo.
Perché, una volta raggiunta l'auto, quando il cielo si era ormai fatto buio, siamo stati trafitti – per fortuna da lontano – dal suono megafonato di un urlatore di rap moderno.