
Cristo e il Grande Inquisitore: quando la politica libera
Riflessione da I fratelli Karamazov... ai giorni nostri
La Leggenda narra che ci fosse un cardinale di cui non sappiamo il nome. Sappiamo soltanto che era chiamato Il Grande Inquisitore, dal momento che lavorava, con estrema dedizione, per reprimere l'eresia e far trionfare i dogmi della Chiesa. Aveva bruciato decine e decine di eretici, spargendo per tutta la regione oltre alle fiamme dei roghi, anche fama e paura. Ad un certo punto, proprio fra i roghi accesi dal Grande Inquisitore, compare una figura conosciuta da tutti, Gesù Cristo. Passa in mezzo alla gente e inizia a risanare un cieco, poi fa risorgere una bambina, poi ancora la folla lo acclama riconoscendo in lui il Messia dal Volto Splendente.
Tutto questo avviene proprio davanti al volto scarno e infossato del Grande Inquisitore che, immediatamente, fa arrestare Gesù e lo sbatte in prigione. Proprio lì, nella notte della prigione, il Grande Inquisitore va a trovare Cristo e inizia il suo monologo. Così, il Grande Inquisitore esclama, rivolgendosi a Gesù:
La Leggenda, poi, continua mettendo in luce la differenza fra il Grande Inquisitore che continua a parlare e un Cristo che rimane in silenzio, fermo a guardare il vecchio cardinale. Ciò che maggiormente ci interessa mettere in luce, prendendo spunto dal racconto di Dostoevskij, è la differenza abissale fra il potere e il cristianesimo, soprattutto in campo politico.«Sei Tu? Sei Tu?». Ma siccome non riceve risposta subito continua: «Non rispondere, taci! E che potresti dire? So bene che cosa vuoi dire. Ma tu non hai il diritto di aggiungere nulla a quello che hai già detto una volta. Perché sei venuto a disturbarci? Lo sai anche Tu che sei venuto a disturbarci. Ma sai cosa accadrà domani? Io non so chi sei e non lo voglio sapere, non voglio sapere se sei proprio tu o soltanto un'immagine di Lui, ma domani ti condannerò e Ti brucerò sul rogo come il peggiore degli eretici, e quello stesso popolo che oggi Ti baciava i piedi, domani, a un mio cenno, si precipiterà ad attizzare il fuoco del Tuo rogo! Lo sai questo? Sì, forse lo sai» *
Guardando alla situazione attuale, la nostra attenzione non può che andare alla propaganda di alcuni leader di partito, fra cui Matteo Salvini, attraverso l'uso di segni religiosi. La retorica e il dibattito su questa questione ha già fatto il suo corso ma se ci fermiamo a riflettere filosoficamente e teologicamente sulla questione, possiamo notare come ci sia una appropriazione del cristianesimo da parte del potere.
Che si chiami Salvini o altro, il potere ha sempre avuto bisogno di una religione che potesse acquietare le coscienze promettendo una giustizia ultraterrena. Tuttavia, se la religione è servita a questo nel corso dei secoli, oggi serve maggiormente a difendere e a tutelare un potere che si appoggi sulla devozione e sulla difesa delle tradizioni. Ciò che vogliamo mettere in luce è che il problema non è del potere che ha sempre utilizzato la religione per i suoi scopi, quanto la differenza che intercorre nel mondo di concepire la religione da una parte e la fede dall'altra. E la differenza è data in seno al concetto di religione e all'idea di fede.
Ragionando per immagini, possiamo affermare che il concetto di religione è presente nelle parole del Grande Inquisitore, mentre l'idea di fede è nello sguardo luminoso di un Cristo messo in carcere. Il discrimine non è il dirsi cristiani o meno, quanto nell'instaurare un legame vivente con Dio.
Se il Grande Inquisitore pensava alla religione come strumento di potere, Cristo viene a scardinare proprio questa idea ponendosi all'interno di una relazione di fede libera e liberante. Gesù non parla mai dinanzi al Grande Inquisitore, ma viene riconosciuto per quello che fa. Le sue opere parlano e diventano simbolo di Lui che è Parola. Mentre il Grande Inquisitore tesse lunghi monologhi per giustificare se stesso attraverso i segni religiosi. Allora, il vero discrimine non è nel concepirsi all'interno di un sistema di tradizioni religiose, quanto nel mettere in atto processi che sbilanciano, che rompono un equilibrio, che spezza le catene della prigionia.
Essere uomini religiosi non è lo stesso di essere uomini e donne di fede e il discrimine fra l'uno e l'altro è proprio nella misura della nostra libertà e nella capacità di aiutare gli altri a liberarsi. Nessun uomo e nessuna donna di fede si lascerebbero abbindolare da un vangelo o da un rosario sventolato in comizio, come neanche da una foto con il santino del posto. Invece, un uomo e una donna religiosi sì, perché sanno che quei segni difendono loro stessi e le loro tradizioni, mettendo, però, a tacere Dio.
Perché, ci crediamo o meno, pensiamo di crederci o professiamo di crederci ancora o di non crederci, Cristo cammina ancora in mezzo a noi nella misura in cui siamo capaci di essere liberi all'interno di una politica libera e liberante, dialogante e propositiva, senza discriminazioni. Un Dio che parla con le opere, in grado di ridonare dignità alle persone. E, per accorgersi di tutto questo non serve sventolare un vangelo, basta leggerlo.
* F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Bur, Milano 1998, p. 335.