Nanetto innamorato. <span>Foto Liliana Salerno</span>
Nanetto innamorato. Foto Liliana Salerno
Le parole di Sherazade

"Voci", la lite

Testo drammaturgico in due atti di Liliana Salerno

La piccola pausa è terminata: riprende la rubrica "Le parole di Sherazade" su BisceglieViva, in una veste completamente nuova e stuzzicante per i lettori. Dopo le poesie, le favole e i racconti, la nuova sfida letteraria di Liliana Salerno si intitola "Voci", un testo drammaturgico in due atti scritto interamente di suo pugno.
La narrazione, originalissima e con argomenti molto attuali e "coraggiosi", presenta due rovesci della stessa medaglia. Due visioni molto diverse, accomunate naturalmente dal tema principale, l'amore e il tradimento. L'inizio della storia ha come protagonisti due coniugi, che fanno fronte a un duro litigio dai risvolti molto importanti per il futuro della coppia.
a cura di Luca Ferrante

I personaggi e i fatti narrati in questo dramma sono, per dichiarazione dell'Autrice stessa, frutto di pura invenzione e fantasia. Per cui se qualcuno si riconoscerà in essi, sia nelle fattezze del tale personaggio che nella fisicità della narrazione, consideri la cosa del tutto accidentale e casuale.
La lettura del testo è sconsigliata a un pubblico minore di 14 anni.
Buona lettura.

Primo atto: introduzione

All'entrata del pubblico in sala, i coniugi Rossi, vestiti in costume di scena, si confonderanno tra la gente, mentre le comparse interloquiranno direttamente con le persone, facendo prima domande chiuse, che prevedano una risposta affermativa o negativa (esempio: «C'è posto?», «Posso sedere accanto a lei?», "È libero?»), poi entrando in confidenza con il pubblico, otterranno delle reazioni di curiosità o di chiusura. La prima parte della loro recitazione consisterà nel non farsi riconoscere come personaggi di un dramma. La loro finzione deve far sì che essi siano "il pubblico", e, nel contempo, i personaggi del dramma. Incuriosendo eventualmente i soggetti, introdurranno il tema della vicenda che stanno per vedere, adoperando frasi del tipo: «Ma la conosceva anche lei la signora Rossi?». Mentre stanno per entrare nel vivo della storia, perché non scoprano la narrazione degli eventi, si spegneranno le luci in sala.

Tutto avverrà a sipario aperto, illuminato. La scena mostrerà un interno domestico, per la precisione una camera da letto, tradizionale, con il letto matrimoniale nel mezzo, il cassettone a destra di chi guarda e la toelette da camera dall'altra parte. La toelette sarà corredata di specchio e sgabello. Ai lati del letto ci saranno i due comodini, muniti di abat-jours, che si accenderanno nell'attimo in cui si spengono le luci in sala. I protagonisti, dopo una brevissima pausa, che consenta al pubblico la necessaria concentrazione, si alzeranno dai loro posti rispettivi e raggiungeranno la scena mediante apposite scalette sistemate in precedenza, direttamente in presenza del pubblico, come se questo non li imbarazzasse affatto. Entrati in scena saranno i coniugi Rossi: il marito, Paolo, indosserà un completo di taglio classico: è un uomo distinto, di età indeterminata, ma ha di certo superato la quarantina; Eliana, invece è più giovane, o meglio giovanile: indosserà un tailleur sportivo ed efficiente. È la tipica immagine della donna affermata, di successo. Appena in scena, lei prenderà posto sul seggiolino della toelette, con le ginocchia unite, ma con i piedi lontani, in maniera quasi infantile, sottolineata dal continuo giocherellare con tutto quello che trova a portata di mano: bottoni, ciocche di capelli, bordo della gonna… Paolo, invece, si sfilerà la giacca e la poggerà disordinatamente sul letto, si allenterà la cravatta e sbottonerà la camicia.

Eliana aspetta che Paolo sia pronto. La sua posizione sarà di fronte a lei, dall'altra parte della stanza, con le braccia all'indietro poggiate sul cassettone. Portate a termine queste operazioni preliminari, i due sono pronti per la recitazione vera e propria; dunque si guardano senza parlarsi, con strana calma e molta cattiveria, come se avessero appena concluso una lite che non li ha visti né vincitori, né vinti.
Come se fossero sempre stati lì, in quella stanza a litigare, come se fossero effettivamente i coniugi Rossi, nella loro intimità domestica.

Prima scena: la lite

Eliana, con la calma di chi ha vissuto e consumato tutta la propria saggezza: «Credi ancora che le parole possano offendermi!»
Paolo, con distacco e sufficienza: «Lo spero bene, ma non lo credo affatto, perché se le parole ti offendessero, ciò dimostrerebbe che avresti ancora un po' di cervello».
Eliana (dura, ma sempre calma e per niente polemica): «Questo lo dimostrano le mie aziende, il mio conto in banca e tutto ciò che sono riuscita a realizzare con le mie mani, e, naturalmente, senza il tuo aiuto».
Paolo, polemico: «Si, si, risparmiami la storia della tua vita, perché l'ho sentita troppe volte... piuttosto, (malizioso) mio piccolo manager senza cervello e senza cuore!, se io non sono riuscito ad aiutarti in alcun modo, forse qualcuno, più abile di me…»
Eliana: «Non ho capito a cosa tu voglia alludere!»
Paolo: «Oh Bella! A cosa voglio alludere! Hai appena finito di confessare al tuo povero marito, di avere avuto, o di avere, non ho capito bene!, una relazione con un altro e mi domandi a cosa voglia alludere! È chiaro che mi interessa sapere, (allusivo) da quanti anni questo tuo campione di mascolinità, si interessa dei tuoi affari, e quale profitto ne tragga, a meno che… (con tono più pacato, ma sempre allusivo), a meno che!!! (L'esclamativo rimane sospeso nell'aria).

Eliana, decisa: «Parla. Su, avanti, parla: Vediamo cosa è riuscito a concepire il tuo maligno cervello. Anche perché credo di averlo capito. Ma te l'ho già detto: le parole non mi offendono. Quindi parla, se ne hai il coraggio. Finiscila con queste mezze frasi ed esprimi un pensiero per intero, con chiarezza, senza i tuoi soliti mezzucci, (scettica), se ne sei capace!»
Paolo, ipocrita: «Beh! Se hai capito… non ce n'è bisogno. Non è il caso che io ti umili, con le parole».
Eliana, polemica: «E invece a me sembra il caso!»
Paolo: «Volevo dire che questo signore, di cui, tra l'altro, non vuoi farmi il nome, forse perché temi che il confronto con me possa schiacciarlo! Deve avere un qualche interesse, come dire?, (falso) un qualche suo… tornaconto personale, se ha intessuto una relazione con te, che… in fondo... non sei più una ragazzina!»
Eliana (dopo una lunga pausa di silenzio pesante, con la calma di chi sa già cosa deve e non deve dire): «Lo sapevo. Sapevo ogni parola che hai detto, quelle che hai detto e non hai pensato come quelle che hai pensato e non hai detto. Già! Mi ci sono voluti vent'anni, ma vent'anni di matrimonio scavano dentro. Quando si ama poi, si conosce tutto della persona che si ama, persino la ciglia caduta sul cuscino. Tu poi, non sei mai stato una persona complessa, e non mi stupisci, con le tue insinuazioni, non mi stupisci affatto, come non mi hai stupita quando non ti sei accorto del fatto che la tua casa diventava più fredda e monotona».

Paolo, sarcastico: «E quando sarebbe avvenuto questo congelamento? In quale momento di questa vita che mi sembrava così perfetta, che sembrava perfetta al marito rimbambito che ti ritrovi? Quando hai cominciato questa sporca commedia?»
Eliana, tranquilla: «Quando l'hai cominciata tu. Quando ci siamo sposati. Il giorno stesso del nostro matrimonio, che è stato come quello di tutti, come quello di ogni persona che si sposa, con l'abito, le buste dei regali. Persino il viaggio di nozze è stato come quello di tutti, e i figli che abbiamo fatto, e la vita che abbiamo vissuto…»
Paolo (la interrompe come soffocato dalla tirata della moglie): «Ma perché? Che volevi da me? Che vita volevi vivere? Che ti manca?… Hai un marito, dei figli, una posizione sociale… Hai voluto realizzarti personalmente e porti avanti le tue aziende: cos'altro volevi da me?»
Eliana, glaciale: «Te».
Paolo (ribatte come colpito): «E non mi hai avuto forse? Non sono tuo marito, non lo sono stato? Non sono un buon padre per i tuoi figli?»
Eliana, più dolce: «Sai Paolo, tu non sei mai cresciuto, non ti sei mai sposato, non hai mai avuto dei figli».

Paolo, sorpreso: «Ma che dici? Eliana che dici?»
Eliana, sicura: «Quello che ho detto: hai avuto una moglie, ma non sei mai stato un marito, hai avuto dei figli ma non sei mai stato un padre. Sei la tipica persona che crede che sposare una donna sia soltanto rincasare la sera per sdraiarsi in poltrona in una casa pulita, cenare, dare il bacio della buona notte ai bambini e andare a letto. Tu hai sempre creduto che questo bastasse, che questo andasse bene, che questo fosse idillico…»
Paolo, sbalordito: «E non è così forse, Eliana? Non hai tracciato forse il quadro di una casa tranquilla, pulita, onesta, in cui ci sia sempre serenità e dolcezza? E non è stata così la nostra casa? Che problemi ti ho dato? Io ti ho sempre amata… tu invece… ma lasciamola perdere quell'altra storia, perché sono certo che è una storia finita, chiusa, e solo per questo me l'hai raccontata. O magari lui non esiste davvero (sorride come se vagheggiasse una certezza di felicità), è solo un personaggio della tua fantasia. L'hai creato per ingelosirmi, per farmi dispetto, (con improvvisa tenerezza) come facevi da ragazza, quando ti facevo arrabbiare! Sono certo che è così Eliana. Non può essere diversamente. Non puoi dirmi, dopo vent'anni di matrimonio, che hai amato un altro da sempre… Tu sei stata mia moglie, la mia donna. Sempre così ingenua, pulita… dai smettila con queste storielle da bambina! Ora mi abbracci, facciamo pace ed è come tutte le altre volte, come tutte le altre sere».
Eliana (lo guarda come incantata, poi scoppia a ridere, prendendosi il viso tra le mani, e non riesce a smettere): «Ora io mi avvicino, (gesticola avanzando leggermente), mi spoglio da brava mogliettina, magari vado in bagno per mettere le mutandine che piacciono a te, e poi facciamo l'amore, come marito e moglie nella loro brava intimità domestica: ed è tutto finito, tutto passato… (con tono sarcasticamente retorico) Torna "la quiete dopo la tempesta". La tranquillità della casa è restaurata e tutto torna come prima».

Paolo, ancora più sbalordito: «Cosa vuoi dire? Eliana, cosa vuoi dire?»
Eliana (violenta, quasi gridando): «Che devi svegliarti, il sogno è finito. È finito, è finito: hai capito? Io non sono felice di questa felicità monotona, e non lo sei neanche tu di questa commedia. Ci ho messo vent'anni per capirlo, per capire che lui, l'altro c'era, c'era sempre stato, ed era un uomo diverso da te, fantasioso, allegro, pieno di interessi come un ragazzino... uno che sa farle ridere di cuore le donne, uno che le fa sentire bene, apprezzate… Uno che non confonde la propria donna con una lavatrice o una gettoniera!»
Paolo risponde ad alta voce: «Perché io farei questo, vero? (dopo una pausa di riflessione, ed in tono più basso) È questo che vuoi? (sarcastico): un uomo che ti faccia ridere! Un pagliaccio? Un clown? Potrei fare anche questo, se volessi, ma non voglio, perché sei solo una stupida, con la testa piena di sogni cretini. Sogni ancora il ragazzino, il Principe azzurro delle favole, e non ti accorgi di quello che hai tra le mani. Tu non sai chi sono io! Un uomo come me, dove lo trovi?
Eliana (sarcastica): «Per fortuna non corro questo rischio! E in quanto al mio ragazzino, si, il principe azzurro delle favole di cui parli, devo dirti che esiste, che non è un sogno così astruso, perché basta poco per essere più fantasiosi di te. Si, tu non lo potrai mai sapere, perché non hai mai provato a dare qualcosa di più di te, che non fosse il tuo corpo e la tua tranquillità borghese. Il mio Uomo, e lo dico con orgoglio, non è una persona mediocre. Farebbe salti mortali per la donna che ama, e sa sempre trovare a parola giusta da dire al momento giusto».

Paolo, nervoso e sarcastico: «Sicché il tuo amante sarebbe questa specie di uomo perfetto».
Eliana, precisa: «Il mio uomo, Paolo, non il mio amante. Perché la storia che noi viviamo, qualunque cosa tu possa pensarne, è una storia pulita, fatta anche di tanto rispetto per Te e per sua moglie, al punto che né tu, né lei, avete perso niente, quando abbiamo trovato il folle coraggio di amarci senza tante riserve, mettendoci a rischio, senza mentirci più».
Paolo, ancora più sarcastico e pungente: «Sicché io e questa sconosciuta Signora dovremmo ringraziarvi per averci così abilmente cornificati da non permetterci di scorgere, nella vostra perfetta ipocrisia a due, neppure un segno di questa stupenda storia pulita, che avrà permesso ad amici e conoscenti, nonché alle tue preziose amiche fidatissime, di ridere alle nostre spalle, alle spalle del becco perfetto e della scema».
Eliana ribatte disgustata: «Vedo che non riesci ad uscire dai tuoi limiti, Paolo, e me ne dispiace, perché la scema di cui parli, l'unica scema esistente in tutta questa storia sono io. Già, proprio io. Potrei dirti ad uno ad uno i nomi delle colleghe di lavoro che conoscono il sedile della nostra macchina. Potrei dirti i luoghi in cui le portavi, persino le cifre che spendevi nei ristoranti e negli alberghi per loro, i regali che hai fatto, per scommessa, non come me, per amore, per uno sporco gioco tra colleghi d'ufficio, i tuoi colleghi, quelli che sono venuti a casa tua, mentre tu eri occupato nei tuoi (calca la voce) "affari di lavoro", perché mentre scommettevi con loro che ti saresti "fatto" questa o quell'altra impiegata, loro scommettevano che si sarebbero "fatti" tua moglie. (Caustica) Deve far parte della carriera d'ufficio!»
Paolo: «E quanti ne hai fatti entrare: sentiamo? Sentiamo? Di questi miei colleghi quanti hanno conosciuto il mio letto, la mia casa, la mia donna?»
Eliana, divertita: «Il mio letto! La mia casa! La mia donna! È straordinario il tuo modo di usare il possessivo. In quanto ai tuoi colleghi d'ufficio, puoi stare tranquillo, non è con loro che ti ho fatto becco. Sono al tuo stesso livello, non avrei migliorato di molto la mia già troppo squallida esistenza!».


Nuovo appuntamento con "Voci" di Liliana Salerno martedì 14 settembre

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