Dialogo interreligioso
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Il caffè del filosofo

Il pluralismo religioso, una sfida per ogni pensiero

La nuova rubrica di PoliSofia

Pensare un mondo plurale come è dato dalla nostra epoca contemporanea significa anche pensare ad un pluralismo religioso. Dove per religione non intendiamo immediatamente la vita di fede delle persone quanto le forme storiche che la donna e l'uomo hanno elaborato in relazione al divino. in questa prospettiva, dunque, il cattolicesimo è una forma religiosa che viene posta in dialogo, in confronto e, anche, in collisione con le altre forme religiose.

Con buona pace di chi pensa di essere ancora in una maggioranza religiosa cattolica o per chi pensa che il cattolicesimo sia la sola presenza religiosa nel nostro territorio, affermiamo che la nostra contemporaneità si contraddistingue proprio per una pluralità religiosa data da diversi fattori concomitanti. Infatti, se volessimo approfondire, attraverso la sociologia delle religioni, la presenza sul territorio italiano o cittadino, delle religioni avremmo la consapevolezza di affacciarci su una questione ampia e complessa. Tuttavia, non ci interesserebbe tanto la quantità delle religioni presenti sul nostro territorio quanto il confronto fra queste religioni.

Nel corso della storia ci sono stati autori che si sono soffermati sul pluralismo religioso. Uno di questi autori è John Hick, teologo, filosofo e storico britannico scomparso nel 2012. Utilizzando le categorie di Kant sul fenomeno e noumeno, Hick afferma che tutte le religioni sono forme con cui l'essere umano cerca di avvicinarsi al Reale Ultimo che chiamiamo Dio. La religione, dunque, sarebbe un fenomeno di relazionalità con un noumeno che è Dio, il quale però sarebbe sempre e comunque non comprensibile pienamente. Questo garantirebbe che tutte le religioni siano, in un certo qual modo, tutte sullo stesso piano, in una logica di corrispondenza con il Reale differente e ognuna con le proprie caratteristiche. Tutto questo ci aiuterebbe ad entrare in un riconoscimento egualitario di tutte le religioni in quanto tutte hanno la medesima dignità in quanto fenomeni religiosi.

Tuttavia, le critiche a questo sistema provengono proprio dalle correnti atee. Infatti, se le religioni fossero egualmente fenomeni della stessa relazione con il Reale, allora significherebbe che chi nega la religione nega anche una forma di relazione con il Reale Ultimo. Per questo motivo, allora, l'ateismo sarebbe una pura illusione in quanto non ha nessuna relazione con il Reale. Paradossalmente, l'ateismo sarebbe quella illusione che il pensiero ateo attribuiva alla religione stessa. Infatti, la critica principale dell'ateismo alle religioni sarebbe quella di credere o in un sistema di dottrine o in una entità astratta e invisibile e, quindi, illusoria. In altre parole, se l'ateismo accusa le religioni di essere solo delle illusioni umane, il pensiero di Hick mette l'ateismo nello stesso imbarazzo illusorio di cui accusa la religione, in quanto non avrebbe neanche la percezione del Reale Ultimo e, quindi, della realtà in assoluto.

Stando ad un articolo pubblicato sul Nuovo Giornale di Filosofia della Religione, il secondo motivo delle accuse al pensiero di Hick deriverebbe dalla distanza onto-etica dal Reale. In altre parole, se il Reale rimane sempre e comunque incomprensibile, allora la religione si sporge sempre sul rischio di porre le istanze umane come divine. Il presupposto da cui parte Hick, infatti, è che le religioni abbiano tutte un nucleo di bontà come riflesso della bontà del Reale. Ma se sorgesse una religione che non ha questo nucleo di bontà al proprio interno, nessuno potrebbe dire che questa religione sia falsa dal momento che risulterebbe essere un fenomeno del Reale Ultimo, di Dio.

Per uscire da queste critiche al sistema di Hick e per ripensare un pluralismo religioso che possa tener conto anche dell'ateismo, ci occorre riformulare la relazione che intercorre fra il noumeno e il fenomeno. Non vogliamo buttar via la riflessione di Hick, ma tentare di correggere il tiro del pluralismo, ripensando il pluralismo stesso. Infatti, se la relazione fra fenomeno e noumeno non lascia nessuno spazio di autorevolezza che ci aiuti a distinguere un fenomeno reale da un fenomeno fittizio, allora cadremmo nell'indifferentismo religioso, per cui ogni religione va bene, anche se ammettesse al suo interno sacrifici umani.

In merito alle religioni come forme storiche della relazione con il Reale, ciò che manca nella riflessione di Hick sul pluralismo religioso è l'energia stessa del noumeno. Infatti, pensare il pluralismo religioso significa pensare ad una forma religiosa che contiene al suo interno il noumeno, non totalmente scisso dal fenomeno. In altre parole, quindi, non è il fenomeno ad essere una costruzione umana verso il noumeno di Dio, ma è la presenza di Dio stesso come noumeno a dare forma alla religione anche in relazione alla sua storicità. Se è vero che attraverso il fenomeno religioso possiamo giungere al noumeno è perché il noumeno stesso dà forma alla religione non rimanendone intrappolato al suo interno. Tuttavia, per non identificare il fenomeno con il noumeno, ovvero per non lasciare a nessuna religione la pretesa di poter dire di essere la sola in grado di portare a Dio, occorre tornare al dialogo religioso.

La pluralità religiosa, dunque, si pone dinanzi a questa scelta, da una parte la pretesa di tutte le religioni di essere la sola e autentica via per portare a Dio, dall'altra il dialogo che ci permette di fare discernimento, di riflettere su ciò che è di più propriamente noumenico di una religione, comune a tutte le altre religioni, e ciò che è propriamente fenomenico ovvero ciò che è precipuo di quella religione.

In questo dialogo, dunque, anche le varie forme di ateismo hanno un loro compito in quanto spingono l'essere umano religioso verso una maggiore riflessione e un riconoscimento maggiore dell'autenticità di un Dio Vivente come Reale Ultimo, che non rimane chiuso nelle forme umane. Ed anche la critica della distanza onto-etica del fenomeno religioso verrebbe risolto in quanto nel dialogo ogni religione farebbe verità non solo sull'altra religione ma sull'autenticità di se stessa, ed ogni religione non scoprirebbe solo che il Reale Ultimo sia buono, ma che esso parli, che esso costruisca una relazione non solo con la propria religione, né solo con le forme religiose altrui, ma anche soprattutto con la propria fede e il proprio credo. Dove il pluralismo diviene dialogo, e il dialogo la forma plurale del Logos che, nel caso dello scrittore di questa piccola riflessione, è Cristo Dialogante.
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