Veduta di Bisceglie dall'alto
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Un pediatra sul web

Via La Marina - Seconda parte

Racconti di vita vissuta

Un giorno di fine estate raggiunsi uno stabilimento balneare che frequentavo e che aveva il parcheggio custodito, e dopo aver pagato un regolare biglietto affidai il mio amore alla attenzione del parcheggiatore. Dopo non più di un'ora tornai... Il parcheggiatore non c'era più e lui neanche.
Il dolore fu terribile, un lutto da separazione inconsolabile. Mio padre rimase muto e basito. La storia ci segnò tutti. Ma poi ci fu un seguito...

(Via La Marina - prima parte)


Un clima di profondo sconforto calò in casa e ciò che non mancarono furono letture complottiste nei miei riguardi. Nel giro di pochi giorni fui avvicinato da oscuri figuri che mi promettavano improbabili restituzioni o equivoci interessamenti ma naturalmente tutto si rivelò inutile. Non pensai a un'eventuale denuncia ai Carabinieri, perché non stava né in cielo né in terra e anche perché allora non esisteva l'assicurazione per il furto.

Quella lontana estate si concluse così e il primo ottobre mi ritrovai al ginnasio di Molfetta. La scelta fu dettata dalla mia assoluta idiosincrasia verso la matematica, almeno così mi fecero intendere i miei, perché era il loro stile educazionale: piuttosto che sostenere il figlio nelle sue competenze e predisposizioni, esaltarne le incapacità e le genetiche indisposizioni. Avrei potuto sentir dire, che so, «Il liceo classico dà una formazione umanistica» o magari che era stata anche la scelta di entrambi... No. «Tonio non capisce niente di matematica, lo mandiamo a Molfetta!». Il ricordo del Corsarino si ricavò un piccolo giaciglio in un angolo del cervello e li rimase nei tre anni successivi. Fino a quando arrivammo ai primi giorni d'estate del 1970.

Durante gli anni del ginnasio, la frequentazione con gli ex compagni di scuola media si diradò mentre si cementò l'amicizia e quindi la frequentazione coi "Mauri": Mauro De Cillis e Mauro Aiello, cui si aggiunse la bella amicizia con Francesco La Notte. Eppoi c'era l'amico di sempre Vincenzo Bruni, il faro delle mie volontà. Fu proprio lui ad avvisarmi che ci saremmo dati appuntamento davanti a casa di Francesco, in via Trento, perché c'era una bella novità. Non mi disse di cosa si trattasse ma una volta superato Palazzo San Domenico vidi Vincenzo, Francesco e il fratello Giacinto in capannello intorno a una moto. Arrivai e... ne rimasi abbagliato.

Giacinto la cavalcava, Francesco la rimirava, Vincenzo l'accarezzava e io mi unii a loro in un momento di venerazione estatico-estetica. Il tumulto delle emozioni e delle passioni rimontò nella mia mente come un'onda gigantesca e la bellezza della visione mi attanagliava il cuore al punto da rimanerne incollato come una cozza a uno scoglio. Era ancora più bello, più forte, più potente del primo. Il Corsaro 125 rosso era la quintessenza della passione giovanile. Lo sfiorai con lo sguardo e mi allontanai in silenzio: i miei amici capirono benissimo e non interferirono.

Tornato a casa venne così spontaneo avvicinarmi al calendario appeso in cucina e fare una croce su quel giorno. Era iniziata una nuova via crucis. I miei non riuscirono a comprendere il motivo di cotanto sbalzo d'umore, pensarono a un'altra delusione amorosa. Erano i primi anni settanta e il clima giovanile, da noi, aveva risentito ben poco delle lotte e delle rivolte del '68.

L'estate si spostò nella campagna di via Molfetta (via Matteo Renato Imbriani) e giorno dopo giorno sentivo montare in me una necessità indomabile. Creedevo comunque che non fosse il caso di parlarne con i miei. Il mio profitto scolastico a Molfetta era piuttosto scadente e ogni fine anno era caratterizzato da una tensione che sfiorava l'angoscia per un'eventuale rimandatura che comunque non arrivò mai. Continuai, nel riserbo più assoluto, a siglare i giorni sul calendario con una croce fino a quando e per fortuna ritornò il primo ottobre.

Iniziava così il secondo anno del liceo classico 1970/71. Le difficoltà scolastiche, l'enigmatica matematica, il misterioso greco e l'ostico latino lasciavano poco spazio ai miei sogni giovanili. Eppure chi mi sosteneva erano i "Mauri". Amici con un bel carattere: forte e risoluto De Cillis, simpatico e gioviale Aiello. La loro era una lettura meno conflittuale della vita. Amici positivi, allegri, ottimisti. Amici con cui giorno per giorno stringevo un rapporto sempre più forte. E dentro di noi cresceva con i giorni il desiderio di "fare" un qualcosa di importante di giovanile, trasgressivo, contestatario.

Il nostro percorso scolastico era tutto sommato opaco ma non erano opache le nostre pulsioni giovanili. Fu così che, arrivati alla primavera del 1971, Mauro De Cillis propose a me e a Mauro Aiello di trascorrere le feste di Pasqua a Roma. E così, col permesso dei genitori, con un bagaglio nullo e con una manciata di lire in tasca, raggiungemmo la capitae in treno. Il tempo di scendere dal treno e percorrere pochi metri nella stazione che Mauro De Cillis, il più intraprendente tra di noi, si sedette a un tavolino del bar con due belle ragazze.
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Rubrica di pediatria a cura del dottor Antonio Marzano - pediatra di famiglia

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